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DISTRAZIONI DI MASSA

Foto di Collen da Pixabay

di Gianni Giovannelli

Quando uno schiavo non prende
coscienza del significato e del
perché delle catene che ne
fanno uno schiavo, se gliele togli
ti accuserà di furto.

(Ugo Duse, 1926-1997, musicologo comunista)

La relazione sull’evasione fiscale e contributiva è parte integrante del NADEF (la nota di aggiornamento al documento di economia e finanza), testo che deve obbligatoriamente essere presentato entro la data del 27 settembre, ogni anno. Il professor Alessandro Santoro, professore ordinario di scienza delle finanze presso la Bicocca e consigliere retribuito del MEF, aveva provveduto al deposito in termini, già il 19 settembre. Ma l’ineffabile Mario Draghi, come suo costume, della scadenza se ne è allegramente infischiato, rendendo nota solo la cosiddetta “previsione tendenziale”, congelando il resto, senza dare spiegazioni. Tale decisione, unilaterale e illegittima, ha provocato qualche timido malessere in una sparuta pattuglia di parlamentari, ma è stata accettata dalla larga maggioranza, silenziosa e genuflessa, incapace di resistere alla prepotenza del Presidente nominato dagli americani (dunque infallibile quando agisce ex cathedra). La nota di aggiornamento fu pertanto rivelata, insieme al testo completo del NADEF, solo il 5 novembre, da Giorgetti, nuovo ministro posto a capo del MEF con il beneplacito di Draghi.   La “previsione tendenziale” era naturalmente ottimistica ed encomiastica; la relazione, a consuntivo, un po’ meno. Il problema sta nell’oggettività dei numeri. Mentre l’evasione verificata, in termini assoluti, mostrava un sia pur minimo calo, toccava il massimo storico la quota in cui sono accorpate (per la verità senza una convincente giustificazione) le prestazioni autonome e i guadagni delle imprese: 68,7% per un totale di 27,65 miliardi nel corso dell’anno 2020. Come noto il numero complessivo di autonomi e imprenditori è alquanto più basso di quello dei lavoratori subordinati, ma il raffronto con l’evasione di questi ultimi è impietoso: 4,6 miliardi (in lieve crescita pure questo, era a 4,4). Una lettura di questi dati sembrerebbe suggerire una stretta repressiva contro i maggiori responsabili del mancato introito, ovvero le imprese, destinando a questo obiettivo la gran parte delle risorse. Invece entrambi i governi, quello uscente e quello appena insediato, hanno annunciato di voler destinare proprio alle imprese la gran parte delle risorse disponibili, negando invece l’utilità di introdurre una soglia salariale minima di garanzia per i lavoratori sottopagati; quindi ai 27,65 miliardi evasi (somma quasi pari allo stanziamento della manovra ultima approvata in consiglio dei ministri, 30 miliardi, da reperire con tagli alla spesa pubblica e uso dell’accantonato disponibile) si aggiungerà un premio alle imprese responsabili dell’evasione, senza alcun programma impositivo per recuperare i giganteschi profitti (quelli che vengono chiamati extraprofitti con definizione impropria atta a nascondere frodi e saccheggi consentiti dal dispotismo finanziario).

Le partite Iva

La nota di aggiornamento al DEF, approvata dal ministro Giorgetti, si pone peraltro in contrasto logico-politico con uno dei punti programmatici della Lega salviniana, l’estensione della flat tax al 15% (esente da IVA ma senza spese detraibili) da quota 65.000 euro (lordi) a 100.000 (trattabili o scaglionati, comunque almeno 85.000). Secondo la relazione il massimo storico di 27,65 miliardi sarebbe stato raggiunto a causa, dunque per colpa, dei lavoratori autonomi, i quali avrebbero omesso di dichiarare una parte di introiti per non superare il tetto attuale (65.000 euro) e subire un pesante aumento dell’imposizione. Hanno calcolato, infatti, che superando di un solo euro la soglia in cui opera la flat tax il singolo lavoratore autonomo si sarebbe visto addebitare circa 5.000 euro in più dall’Agenzia delle Entrate. Probabile, in effetti, che chi si sia trovato in quella condizione abbia ceduto alla tentazione di sottrarsi a un balzello irragionevole. Ma non convince molto che, in questa miscela fra imprese e lavoro autonomo, il picco di evasione sia riconducibile alle partite IVA con fatturato al confine del limite fissato dal regime forfettario; sembra piuttosto una considerazione politica volta a contrastare l’incremento dell’area a imposizione agevolata, un argomento in favore delle società di capitale, per struttura più adatte dei singoli soggetti fisici a mettere in opera meccanismi elusivi. Di certo, nello scontro assai acceso interno alla compagine di governo (a prescindere dall’esattezza di un rilievo presuntivo non accompagnato da riferimenti oggettivi), l’uso di una simile imputazione conduce per la via più rapida al prevalere di una linea in continuità con la gestione Draghi piuttosto che a un cambio di passo in senso nazional-populista. Il regime forfettario fu varato dal Conte 1, ovvero dalla maggioranza gialloverde, per iniziativa soprattutto della Lega, con una fiera opposizione non solo del PD (paladino delle macro-imprese) ma pure di LEU (per mera inguaribile ottusità). Il tetto di 65.000 euro (ma non tutti si collocano al tetto, il grosso sta sotto), applicando il 15%, porta a un ricavo di 55.250 euro, eroso tuttavia dalle spese, tutte non detraibili, legate all’attività svolta (box o ufficio o coworking, auto, cellulare, attrezzi) o sociali (materiali, sanità, assicurazioni, gestione separata INPS); stiamo dunque parlando di un’area caratterizzata da un forte rischio d’impresa e da orari pesanti (si pensi agli autisti), a fronte di un reddito netto mensile effettivo fra i 2 e i 3 mila euro, senza TFR. Concentrare la guerra contro questa ultima fascia residuale che sfugge agli estremi della forbice significa consegnare alla destra estrema (quella oltre Meloni) la loro rabbia, con la conseguenza di indebolire ulteriormente il fronte già logorato e diviso della maggioranza popolare (non populista) che subisce la violenza del liberismo, la prepotenza della scelta dispotica. L’incremento di evasione da 4,4 a 4,6 miliardi nel bacino subordinato va qualificata per quello che è: una disperata forma di resilienza, in un tempo di attacco al reddito della parte debole, da difendere e proteggere con la massima omertà, contro la polizia fiscale di destra e di sinistra. Con i lavoratori autonomi in regime forfettario va costruito invece un percorso di ricomposizione dell’unità, perché, a prescindere dal nominalismo, sono una componente indispensabile del possibile antagonismo, avversari oggettivi del dispotismo liberista (se e quando prenderanno coscienza delle catene).
L’avversario da colpire sono le imprese, in particolare quelle dell’energia, delle armi, della comunicazione, della farmaceutica; quelle che usano la guerra e la pandemia per moltiplicare i profitti allargando la forbice fra ricchi e poveri. L’evasione fiscale più rilevante, non esaminata nelle relazioni allegate al NADEF annuale, avviene legalmente, con il trasferimento della sede legale in Olanda o in Irlanda, con il pagamento dei vaccini europei in Svizzera, soprattutto con l’esproprio sistematico del comune (aria, mare, sottosuolo, sapere) da parte del c.d. privato. Un programma sovversivo non propone redistribuzione della ricchezza ma riappropriazione di quanto il liberismo dispotico ha rubato alle moltitudini.

Le menzogne di regime: il reddito di cittadinanza

Sono stati resi noti dalla Guardia di Finanza i dati complessivi relativi all’attività svolta nel quinquennio; e, quasi contestualmente la Banca d’Italia ha pubblicato il report UIF (Unità di Informazione Finanziaria), elaborato sulla base delle Segnalazioni di Operazioni Sospette ricevute. Il quadro emerso non è per nulla contraddittorio, sembra anzi integrarsi a conferma.
Le frodi accertate dal 2019 ad oggi nell’erogazione del reddito di cittadinanza ammontano a 288,7 milioni di Euro, ovvero una quota complessiva pari ad 1% delle somma complessiva impiegata (circa 25 miliardi). I soggetti accusati degli illeciti sono 29.194 (9731 per ogni anno); ogni criminale ha ottenuto, in media, un bottino di circa 300 Euro mensili, rischiando assai quanto a sanzioni, per giunta con poche possibilità di passarla liscia, posto che si tratta di verifiche incrociate cui è quasi impossibile sfuggire. In buona sostanza si tratta, in genere, di comunicazione in cui la dichiarazione risulta difforme rispetto all’ISEE o al DSU (Dichiarazione Sostitutiva Unica), ad opera per lo più di soggetti marginalizzati (pregiudicati, immigrati precari, tossicodipendenti); per giunta il controllo sull’utilizzo concreto di queste somme apre un sipario inquietante (di complicità fra mafia e istituzioni) visto che viaggiano mediante contratti di locazione fittizi e sovrafatturazione commerciale, strumenti più in uso fra i ricchi che fra i poveri (ma la rete di imbiancatori naturalmente non viene perseguita).
Su queste anomalie del tutto marginali (ripetiamo: 1%) la macchina della propaganda neoliberista ha sferrato un attacco mediatico di grandi proporzioni, arruolando economisti, giornalisti, opinionisti, con lo scopo dichiarato di eliminare questo ammortizzatore sociale, percepito come una sorta di concorrenza sleale da chi esige manodopera reclutata dai caporali e scandalosamente sottopagata. Le sanzioni a carico di chi accede al reddito di cittadinanza senza averne diritto sono più severe di quelle previste per chi omette le coperture contributive e spunta salari da fame giocando sul bisogno crescente dei poveri.
La marginalità delle anomalie legate all’erogazione del reddito di cittadinanza emerge chiarissima esaminando proprio i dati forniti dalla Guardia di Finanza. Nel periodo 2017-2021 (cinque anni) l’evasione e la frode nel settore degli appalti ammonta a 34 miliardi di Euro; riparametrati nel triennio (per un raffronto con quella del reddito di cittadinanza) sono 20,4 miliardi contro 288,7 milioni ! L’imputazione del totale è divisa in gran parte (30 miliardi su 34) fra appalti truccati (11 miliardi), corruzione (ovvero mazzette: 1 miliardo) e responsabili amministrativi di danno erariale (19 miliardi). Anche riparametrate al triennio le sole mazzette ammontano a 600.000 Euro, più del doppio delle frodi sul reddito di cittadinanza!
Clamoroso poi è l’esito di un raffronto condotto sui soggetti responsabili, che nel settore degli appalti riguarda 18.952 persone in cinque anni, dunque 11.371 nel triennio, contro i 29.154 nell’area del reddito di cittadinanza. Ciascun soggetto (in media naturalmente) nel settore appalti ha ricavato 10.964 Euro mensili per i tre anni di riferimento; dunque un singolo evasore nel settore appalti incassa in un mese quello che prende in tre anni un destinatario senza titolo del reddito di cittadinanza.
Ma la propaganda di regime tace sugli appalti e si scatena sull’ammortizzatore sociale, con il preciso disegno di non perseguire le grandi frodi e togliere a tutti i disagiati anche quel poco che ha consentito loro di sopravvivere durante questa lunga crisi.
I dati della Guardia di Finanza trovano conferma in quelli elaborati da UIF (Unità di Informazione Finanziaria) per Banca d’Italia, nell’analisi diretta e coordinata dal suo responsabile, dottor Claudio Clemente.
La menzogna viene distribuita al pubblico come verità e in qualche modo lo diventa, grazie all’arroganza del potere. E così matura la distrazione di massa, per far dimenticare guerra, inquinamento, attacco al risparmio, sfruttamento. E’ una forma moderna di guerra asimmetrica di classe condotta da chi detiene le chiavi del potere contro i sudditi.

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Strada Facendo

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Cessate il fuoco subito – Negoziato per la pace

Per maggiori informazioni: Rete Italiana Pace e Disarmo 

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Il braccio armato del governo

di Gianni Ballarini 

Il neoministro alla difesa è considerato, soprattutto a sinistra, uno dei pochi leader pensanti e stimabili del fronte opposto. Un provocatore schietto. Uno che non sopporta gli equivoci e le ambiguità. E lo dice con supponenza. Allergico alla retorica buonista e agli slogan a uso e consumo di giornali e media. Guido Crosetto abbiamo imparato a conoscerlo nei salotti televisivi. Ora siederà a Palazzo Baracchini.

Fondatore, nel 2012, di Fratelli d’Italia con Meloni e La Russa, è considerato il Richelieu della neo premier. Tra i pochi di cui Meloni si fida ciecamente. Uno che non ha bisogno di Palazzo Chigi per condizionare il prossimo governo. Perché questa figura, dalla stazza ingombrante, racchiude in sé tutti gli aspetti del potere: è un politico, un imprenditore, un lobbista. Soprattutto è il braccio armato del nuovo esecutivo. Uno che da tempo ha fatto pace con la guerra, guadagnando, in questi anni, quando la spesa militare aumentava.

Ha guidato la Confindustria delle imprese militari

Dal 2014, infatti, il colosso di Cuneo indossa l’elmetto nella trincea della rappresentanza dell’industria bellica: è presidente dell’Aiad, la Confindustria delle imprese impegnate nel comparto della difesa. Carica che metterà in naftalina da ministro.
A Palazzo Baracchini, tuttavia, potrebbe vivere momenti imbarazzanti: dal bilancio del suo ministero, infatti, ogni anno parte un flusso consistente di risorse, come investimenti, destinato all’industria nazionale della difesa. A quelle stesse aziende che ha rappresentato per otto anni.

Le giravolte politiche

Ma andiamo con ordine. Piemontese. 59 anni. Inizi politici nella Dc. Folgorato sulla via di Arcore. Coordinatore regionale di Forza Italia del Piemonte dal 2003 al 2009. Nel 2001, la prima elezione alla Camera dei deputati. Rieletto nel 2006 e 2008. Dal 2008 al 2011 ricopre la carica di sottosegretario di stato alla difesa nel quarto governo Berlusconi. Nel 2012 lascia il Popolo delle Libertà. Nel 2014 la nomina all’Aiad coincide con il suo primo addio alla politica. Ritorna in parlamento nel 2017. Ma lo lascia definitivamente un anno dopo. L’impegno “armato” lo assorbe troppo. Perché nel tempo non solo diventa consulente di Leonardo, la nostra holding nel comparto militare, ma viene nominato anche, nel 2020, presidente di Orizzonti sistemi navali, società del settore detenuta al 51% da Fincantieri e per il 49% da Leonardo.

Per lui si producono poche armi

Sebbene nelle sue comparsate televisive dissimuli spesso questo suo ruolo, come se lo desse per scontato (ma scontato non è), ha una passione sfrenata per questo mondo, colmo di bombe, caccia, carri armati: «È un settore ad altissimo valore aggiunto. Uno dei pochi asset strategici e tecnologici rimasti in questo paese. Il problema è che non c’è abbastanza produzione per soddisfare una domanda di investimento in tutte le nazioni». Tradotto: si producono ancora troppe poche armi.
Quando può rifila al suo interlocutore i risultati di una ricerca commissionata, nel 2019, da Aiad a Prometeia, da cui risulta che il fatturato del comparto sfiora i 16 miliardi di euro, impiega 50mila addetti diretti e 150 mila indiretti. «Ogni euro di valore aggiunto generato dall’industria militare ha un effetto moltiplicatore pari a 3, con un gettito fiscale superiore a 5 miliardi di euro».
Tutti dati contestati, o letti con un’altra chiave interpretativa, da ricercatori indipendenti.

La guerra alla 185 e alle banche “etiche”

Ma lui ama quei numeri. Mentre ne detesta uno: 185. È il numero della legge del 1990 che disciplina il controllo dello stato sull’import ed export di armi. A suo avviso, una legge che ingabbia. Prevede troppi lacci e lacciuoli. Troppa burocrazia. «Non esiste che una legge metta in capo alla Farnesina le decisioni sul settore della difesa», uno dei suoi numerosi commenti di “apprezzamento”. Gli venne un coccolone quando, nel dicembre del 2020, la maggioranza parlamentare votò la risoluzione proposta da Lia Quartapelle, deputata del Pd. Impegnava l’esecutivo Conte a «mantenere la sospensione della concessione di nuove licenze per bombe d’aereo e missili che possono essere utilizzati a colpire la popolazione civile, e della loro componentistica» verso Arabia Saudita ed Emirati Arabi, misura già in essere da metà 2019. In Commissione difesa del senato, Crosetto vi si scagliò contro: «Bisogna intervenire sulla 185. Se si vuole cooperare o meno con un paese deve deciderlo il governo non il parlamento».
Ma il tema che in assoluto lo fa andare su tutte le furie è quello delle “banche etiche”, come le chiama lui. Quelle che talvolta si rifiutano di mettere a disposizione i loro servizi alle imprese militari che operano in teatri di guerra o in assenza di diritti civili. «È davvero critico l’atteggiamento delle banche che arrivano a bloccare pagamenti dall’estero nonostante siano autorizzati da diversi ministeri e con arroganza decidono di chiudere i rubinetti ad attività del tutto legali». Sul tema usa toni sprezzanti: «Le aziende non riescono a lavorare. Più sono piccole, e minori sono i loro affari, e più le banche diventano etiche. Ma la stessa banca diventa meno etica se sul tavolo c’è un affare da un miliardo di euro».
In commissione difesa aveva auspicato che Mediobanca e Banca Popolare di Puglia finissero nella galassia del ministero economia e finanze (Mef). Come in effetti è avvenuto. «A quel punto diventeranno le banche del sistema e le uniche con cui si potrà lavorare tranquillamente. Perché avuta l’autorizzazione dalla Farnesina, dal ministero della difesa e dal Mef, una banca pubblica non può dire di no come fanno le altre banche».
Il kingmaker meloniano ha le idee chiare. E ora che è al potere, per la 185 si profila un futuro accidentato.

L’articolo è stato pubblicato su Comune-info il 22 ottobre 2022

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