Claudio Giusti

Claudio Giusti ha avuto il privilegio e l’onore di partecipare al primo congresso della sezione italiana di Amnesty International e in seguito è stato uno dei fondatori della World Coalition Against The Death Penalty. Fa parte del Comitato Scientifico dell’Osservatorio sulla Legalità e i Diritti.

Sei mesi senza ammazzare

8 aprile 2008

Dedicato a Vero Giusti (1924 – 2008)

Sono più di sei mesi che gli americani non ammazzano nessuno.
Non parlo ovviamene dell’Iraq, dell’Afghanistan o dei licei statunitensi, ma del braccio della morte, dove da lungo tempo il boia non si prendeva una vacanza.
Dal 25 settembre scorso, quando Michael Richard è stato ucciso perché la Corte Suprema del Texas chiude alle 17.00, non ci sono più state esecuzioni negli Stati Uniti d’America,
La ragione di questa moratoria non dichiarata risiede nella svogliatezza con cui la Corte Suprema Federale sta meditando sulla costituzionalità dell’uccisione con la siringa avvelenata e, quando la Corte riflette, non è permesso ci siano esecuzioni, non fosse altro che per ribadirne l’autorità.
Se gli americani fossero il popolo pragmatico di cui si favoleggia questa strana moratoria suggerirebbe molte considerazioni.
I forcaioli dicono da sempre che la pena di morte è un deterrente unico per il crimine e che ogni esecuzione salva la vita di dozzine di persone. Se fosse vero nei mesi scorsi avremmo dovuto assistere ad un vero e proprio mattatoio, con schiere di assassini potenziali che, non più trattenuti dallo spauracchio ineguagliabile della forca, avrebbero dovuto commettere una spaventosa serie di omicidi.
Invece non è successo proprio un bel nulla e gli americani si ammazzano più o meno come si ammazzavano un anno fa.
Non solo.
Se le statistiche valgono ancora qualcosa possiamo constatare che, dopo un picco di 98 esecuzioni nel 1999, abbiamo assistito a una brusca discesa del numero delle uccisioni statali, scese a 53 del 2006 e a 42 nell’anno scorso. Anche il numero di condanne a morte si è ridotto dalle 300 del 1998 a poco più di un centinaio (le esecuzioni sono prodotte da condanne di dieci, venti o anche trent’anni fa).
Tutto questo non ha minimamente influito sul tasso di omicidio americano che è rimasto estremamente stabile, attestandosi un po’ al di sotto del sei per centomila.
Tasso questo che, pur essendo tre volte quello canadese e sei volte quello italiano, è ben più basso di quello degli anni passati, quando arrivava al dieci per centomila e gli omicidi riuscivano ad essere 25.000 l’anno.
Le statistiche dimostrano, al di là del ragionevole dubbio, che gli stati americani senza esecuzioni non hanno nulla da invidiare a quelli che ammazzano i loro concittadini e che i loro tassi di omicidio sono normalmente più bassi.
In altre parole non sono la pena di morte e le esecuzioni a diminuire gli assassini.
I forcaioli si affannano a produrre studi con cui tentano di negare l’evidenza. Studi regolarmente sbugiardati da Fagan, Berk, Donnohue e Wolfers, e che raggiungono il patetico quando Lott scrive:

“The 12 states without the death penalty have long enjoyed relatively low murder rates due to factors unrelated to capital punishment.”

Se gli americani non fossero così violentemente ideologizzati la pianterebbero con questa costosa idiozia e abolirebbero la pena di morte.

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Tibet olimpico

12 aprile 2008
12 aprile 1944

muore il Presidente F. D. Roosevelt, uno dei padri dei diritti umani moderni.

In questo  momento i tibetani godono di un’attenzione particolare da parte dell’opinione pubblica mondiale. Attenzione di cui non hanno mai goduto i loro non meno sfortunati vicini kashmiri, punjabi, gurka, uiguri, rohinga, ecc.
Non è detto però che questo interesse produca effetti positivi.
Chi si preoccupa dei Diritti Umani deve tenere presente che, di fronte ai 13 milioni di tibetani non ci sono i 130 membri del Comitato Centrale del Partito Comunista, ma 1.300 milioni di cittadini cinesi.
Chi si batte per il rispetto di quanto proclamato sessant’anni fa nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo dovrebbe preoccuparsi che i cinesi non considerino questo nostro interesse per il Tibet come un tentativo di umiliarli, riproponendo, con la scusa dei diritti umani, le aggressioni colonialiste del secolo scorso.
Altrimenti si spingono 1.300 milioni di cinesi nelle braccia del Politburò
Oggi rischiamo di giocarci il Tibet, il rispetto dei diritti umani in Cina, la simpatia dei cinesi e, per buona misura, anche le olimpiadi.
Gli sconsiderati che praticano la caccia al tedoforo dovrebbero tenerlo presente.

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Sulla Moratoria delle esecuzioni.

Il primo marzo 1847 il glorioso Michigan aboliva la pena di morte, dimostrando così che persino negli Stati Uniti è possibile vivere senza ammazzare la gente.

Non fatevi ingannare dal silenzio piombatoci addosso dopo le celebrazioni della Risoluzione sulla Moratoria delle esecuzioni: il brutto deve ancora arrivare, visto che una sessantina di paesi forcaioli ha scritto al Segretario delle NU promettendo battaglia alla prossima Assemblea Generale.
Il capofila dei “soliti sospetti” (Cina, Corea del Nord, Islamici assortiti, Birmania, Zimbabwe, ecc.) è il “boia del mondo” Singapore e la loro posizione è estremamente solida perché, al contrario della tortura, la pena di morte non è (ancora) vietata dalle norme internazionali.
Gli incauti che, ignorando i consigli di Eric Prokosch, si sono avventurati in territori a loro sconosciuti, non sapevano che questa pena è vietata solo per i minorenni, i minorati e le donne gravide, che la Dichiarazione Universale non ne fa cenno, che l’Articolo 6 del l’ICCPR può essere letto in senso abolizionista, ma che, come le Garanzie ECOSOC, limita (ma non vieta) l’uso della pena capitale ai “most serious crimes” e che il dimenticato Secondo Protocollo è solo opzionale, anche se importante.
Insomma, l’Italia abolizionista di qualche mese fa non aveva bisogno di propaganda ma di buone letture. Purtroppo, come per la sventurata Corte Penale Internazionale di cui ricorre il decimo inutile anniversario, il danno è fatto.
I paesi forcaioli poi aggiungono che:
“Ogni stato ha il diritto inalienabile di scegliere il suo sistema politico, economico, sociale, culturale e legale, senza interferenze esterne” e che “Nulla nello Statuto delle NU autorizza queste a intervenire in materie che sono interne alla giurisdizione di uno stato.” (tradotto in italiano significa che i paesi abolizionisti sono pregati di pensare ai casi loro).
A settembre il Movimento Abolizionista italiano avrà bisogno di gente preparata e di personale competente per combattere questa battaglia, ma
“This commodity is, as always, in short supply”

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Bombardare Auschwitz?

13 gennaio 2008
13 gennaio 1898

“J’accuse” di Emile Zola su l’Aurore.

Riferendomi all’improvvida affermazione del presidente americano “dovevamo bombardare Auschwitz” vi rammento che:
Sono stati i nazisti, con molte complicità fra cui quella italiana, a sterminare ebrei, zingari, prigionieri russi, ecc. e non gli Alleati;
Nella primavera del 1942 l’80% delle future vittime della Shoah era ancora vivo, mentre un anno dopo le parti si erano invertite (Christopher Browning, “Uomini comuni”, Einaudi). Gli Alleati ebbero la possibilità di bombardare Auschwitz solo nell’estate del 1944, quando lo sterminio era ormai concluso (Martin Gilbert, “Auschwitz and the Allies”, Mandarin);
Difficilmente un bombardamento avrebbe distrutto le camere a gas (bombardare la linea ferroviaria sarebbe stato futile), ma avrebbe certamente ucciso migliaia di deportati e ora i revisionisti avrebbero buon gioco a “dimostrare” che gli ebrei sono morti sotto le bombe americane (David Horowitz, Jerusalem Report 12/01/1995). Inoltre, visto che il 40% degli ebrei è stato assassinato FUORI dei campi di sterminio (Raul Hilberg “La destruction des juifs d’Europe”, Fayard), la distruzione delle camere a gas non avrebbe cambiato nulla e gli ebrei rimasti sarebbero stati fucilati nei massacri (le marce della morte) che si svolsero da gennaio ad aprile 1945, DOPO la liberazione di Auschwitz;
Le famose foto aeree del campo di sterminio furono stampate e ingrandite solo nel 1978 (“The Bombing of Auschwitz”, St.Martin Press) e nessuno ha dimostrato che questo sia stato fatto nel 1944, come del resto nessuno si è curato di accertare se qualche analista, visionando le decine di migliaia di foto che gli aerei alleati scattavano ogni giorno, si sia preoccupato di scoprire cosa accadeva in uno delle centinaia di campi di concentramento che costellavano l’Europa occupata;
Infine non dobbiamo chiederci perché gli Alleati non bombardarono Auschwitz nel 1944, ma piuttosto perché noi non abbiamo reagito ai genocidi che ci sono passati sotto il naso (dalla Bosnia a Timor, dal Ruanda alla Cambogia, troppo lungo farne l’elenco). Noi sappiamo benissimo cos’è un genocidio mentre gli Alleati ne avevano un’idea estremamente vaga. Il giudice della Corte Suprema americana Frankfurter disse a Jan Karski che lo informava dello sterminio degli ebrei: “ Non posso crederlo. (…) Non ho detto che stia mentendo. Ho detto che non posso crederlo. C’è una differenza “ (Walter Laqueur, “Il terribile segreto”, Giuntina e “Shoah” di Claude Lanzmann, Einaudi

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Il linciaggio

“Le cartoline dell’impiccagione
si vendono a cento lire l’una”
Fabrizio De Andrè Via della Povertà

“Southern trees
Bear a strange fruit
Blood on the leaves
And blood at the root
Black bodies swingin’
In the Southern breeze
Strange fruit hanging
From the poplar trees.”
Abel Meeropol Strange Fruit

Suona incredibile alle nostre orecchie europee, ma una delle giustificazioni della pena di morte americana è questa: se i criminali non venissero uccisi legalmente, la gente “prenderebbe la legge nelle proprie mani” e farebbe giustizia sommaria del reo, cioè lo lincerebbe.
Non ho intenzione di discutere il valore giuridico-morale della scusante, ma resta il fatto che il linciaggio, ideato come forma di giustizia popolare in Virginia, durante la Rivoluzione, dal colonnello Charles Lynch allo scopo di terrorizzare i Tories fedeli all’Inghilterra, è stata una delle istituzioni americane più popolari e diffuse e non solo fra i bianchi del sud.
Del linciaggio avevo una visione hollywoodiana e quindi molto lontana dalla realtà. Nei film questa barbara pratica è trattata in maniera asettica e falsa. Un colpevole, vero o presunto, normalmente nero, è rinchiuso in carcere e una folla inferocita, sempre bianca, è decisa ad anticipare il verdetto del processo o a eseguirlo su due piedi. Così, dopo una breve resistenza da parte dello sceriffo, il prigioniero viene trascinato fuori dalla prigione e impiccato. Questo al cinema. Nella realtà le cose erano molto diverse.
Il linciaggio era un atto di “giustizia popolare” pianificato dai maggiorenti della città e preannunciato sui giornali. Per l’occasione si organizzavano treni speciali e ad esso partecipavano folle enormi, spesso vestite a festa per l’evento mondano. I linciatori erano tanto certi di non pagare le conseguenze del loro delitto da farsi fotografare sorridenti con il cadavere del linciato che penzola sullo sfondo. Così certi dell’impunità da spedire agli amici queste foto a mo’ di cartolina illustrata.
Il disgraziato oggetto del linciaggio era torturato e mutilato, poi appeso per il collo e sparato dalla folla. Il corpo era bruciato e pezzi del cadavere distribuiti come souvenir. Il tutto con la benevola disattenzione dello sceriffo.
I linciaggi di cui si è avuta notizia sono stati, dal 1882 al 1968, 4.743. I neri linciati, uomini e donne, sono stati 3.446, ma fra i linciati ci sono anche ebrei come Leo Frank e gli italiani “mafiosi” di New Orleans. In testa il Mississippi con 539 neri e 42 bianchi, poi la Georgia (492 – 39), il Texas (352 – 141), la Louisiana (335 – 56) e l’Alabama (299 – 48).
Ma per lo storico Watt Espy essi sono stati 10.000, a fronte di 20.000 – 22.500 esecuzioni legali. [Robert M. Bohm “Deathquest II” Cincinnati, Anderson Pub. 2003, p. 2] E’ quindi la stessa quantità a mostrarci come il linciaggio fosse un modo normale di amministrare la giustizia.
Il linciaggio, raro prima della Guerra Civile, diventa poi un modo per tenere in riga i neri liberati, ma anche i messicani e gli immigrati europei e le cose cominciarono a cambiare, molto lentamente, solo dopo la condanna dello Sceriffo Schlupp da parte della Corte Suprema nel 1907.
E’ impressionante notare come all’aumentare del numero delle esecuzioni legali corrisponda un calo dei linciaggi che scompaiono completamente negli anni sessanta. In pratica l’uccisione illegale diventa legale, ammantandosi di formalismi e di fasulle garanzie. Il risultato resta però quello: un linciaggio perpetrato da una maggioranza nei confronti dei poveri e dei neri. Non per nulla i neri chiamano “legal lynching” la pena capitale.
In alcune occasioni i linciaggi degenerarono in veri e propri pogrom di afro-americani con centinaia di vittime, come a Tulsa nel 1921, quando furono usati aeroplani e mitragliatrici e interi quartieri “neri” rasi al suolo.
Altre volte i linciaggi erano veri e propri atti di guerra che una parte della maggioranza bianca compiva contro i neri e i loro alleati bianchi. Tali furono i “Wilmington race riots” (North Carolina) del 10 novembre 1898. In questo stato i bianchi del partito democratico avevano riconquistato il potere a furia di brogli, violenze, intimidazioni e minacciando gli elettori neri di linciaggio. A Wilmingon esisteva una fiorente comunità nera che aveva il controllo della città in alleanza con i bianchi del partito repubblicano. Una colonna di migliaia di democratici bianchi, armati fino ai denti, li attaccò con una azione militare in piena regola che causò centinaia di vittime, mise a ferro e fuoco le attività commerciali dei neri e distrusse la loro speranza di essere cittadini normali. Alla violenza delle armi seguì quella della legge e, con le Jim Crow Laws, i bianchi del partito democratico misero i neri fuori del sistema elettorale, diventando per quasi un secolo il partito unico del Sud. (Solid South) Sia i fatti di Tulsa che quelli di Wilmington scomparvero dalla storia e sono stati riscoperti solo di recente
I forcaioli americani (e sauditi) accusano gli europei di non essere democratici perché non fanno il volere popolare e non ammazzano qualche disgraziato ogni tanto. La pena di morte sarebbe per questi un prodotto del volere popolare e quindi forca e democrazia coincidono. Il giudice Scalia ha scritto qualcosa del genere in una sentenza della Scotus.
In fin dei conti cosa c’è di più democratico di un bel linciaggio.

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