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Arrivati al dunque. Verso il punto di non ritorno nel crimine supremo della guerra

Immagine generata dall’intelligenza artificiale

di  Pasquale Pugliese

“L’idea di una guerra legale o, addirittura, giusta si basa sulla possibilità di controllare gli strumenti di distruzione, ma poiché l’incontrollabilità è parte di quella stessa capacità di distruzione non c’è guerra che non finisca per commettere un crimine contro l’umanità come la distruzione della vita civile”, scriveva la filosofa Judith Butler nel libro Regimi di guerra, del 2009 ma recentemente pubblicato in Italia da Castelvecchi. La guerra dunque è criminogena in quanto tale o, per dirla con le parole di Butler, “le guerre diventano forme permissibili di criminalità, ma non possono mai essere considerate non-criminali”. Il crimine della guerra sta subendo, nel tempo oscuro che attraversiamo, un salto di qualità negativa che – se non interrotto con un estremo sussulto di consapevolezza e responsabilità – porterà presto l’umanità ad un punto catastrofico di non ritorno, non solo a Gaza. Rispetto al quale i governi in carica delle cosiddette “democrazie liberali”, anziché moderare e frenare il processo distruttivo, costruendone le alternative nonviolente per risolvere i conflitti, pigiano sull’acceleratore dell’escalation. Che porta alla catastrofe etica, oltre che umanitaria.

A cominciare dal doppio standard con il quale, mentre contribuiscono ad alimentare una guerra senza quartiere né prospettiva in Europa, se non quella nucleare come segnaliamo fin dall’inizio – anziché promuovere un serio negoziato di pace con il presidente russo Putin, nei confronti del quale la Corte penale internazionale ha emanato un ordine di cattura per crimini di guerra – supportano con l’invio di armi mai interrotto il presidente israeliano Netanyahu, al quale, dopo oltre 45.000 vittime civili, il Tribunale dell’Aja ha riservato lo stesso trattamento, per crimini contro l’umanità. Ma in questo secondo caso, la reazione di gran parte di politica e stampa occidentali, alla notizia del mandato di cattura internazionale per Netanyahu, è risultata intrisa di comprensione e complicità con il criminale, anziché con le vittime palestinesi, con tratti di vero e proprio suprematismo di stampo colonialista. Che, peraltro, rinnega gli stessi valori della civiltà giuridica occidentale: che la legge sia uguale per tutti; che nessuno è al di sopra della legge; che i diritti umani sono universali; che non si risponde alla barbarie con una barbarie infinitamente superiore…Ma la coerenza è nemica di ogni fondamentalismo.

Del resto, fondamentalismo bellico è anche quello in corso nell’assurda guerra, sempre più globale, tra Nato e Russia – dopo oltre mille giorni dall’invasione russa dell’Ucraina e dieci anni di conflitto armato in Donbass, che ne è stato il presupposto – nella quale le vittime complessive (tra civili e militari, morti e feriti, russi e ucraini) sono stimate ormai in oltre un milione di persone. Guerra che l’Ucraina, che ne è l’avamposto, sta perdendo sul terreno, e che – invece di finire finalmente al tavolo delle trattative, dove ogni giorno che passa le potenziali condizioni per gli ucraini si aggravano – vede alzarsi l’asticella della follia con la discesa in campo dei missili statunitensi e franco-britannici a lunga gittata, che colpiscono fin dentro il territorio russo. E con l’uguale e contraria risposta russa con il missile ipersonico, per il momento armato in modalità convenzionale, ma che potrebbe evolvere nel nucleare e colpire – a sua volta – basi e città europee fornitrici di quei missili, ben oltre il territorio ucraino. Una corsa verso la catastrofe mondiale, che a parole nessuno vuole ma che tutti alimentano, secondo logiche non di diritto internazionale – che altrimenti varrebbero sia in Palestina che in Ucraina – ma volte a ribadire supremazie e aree di influenza planetarie, buttando sempre più benzina sul fuoco criminale della guerra.

E mentre la nuova “dottrina strategica” russa, appena varata, avvisa che potrebbe lanciare armi nucleari in risposta a un attacco sul suo territorio da parte di uno Stato non armato nuclearmente, se sostenuto da uno nucleare, dimostra che “la deterrenza nucleare, anziché garantire stabilità, alimenta insicurezze e tensioni crescenti proprie di una cultura di guerra” – come ribadisce Rete Italiana Pace e Disarmo – gli Stati Uniti, dopo i missili Atacms, hanno deciso di inviare in Ucraina anche le mine anti-persona. Ossia armi che mutilano e uccidono soprattutto i civili e per questo vietate dalla Convenzione di Ottawa fin dal 1997, sottoscritta anche dall’Ucraina, al contrario della Russia e degli USA. Il punto di non ritorno è, dunque, il ritorno agli orrori del passato, dall’uso delle mine alle armi nucleari, ma enormemente più distruttivi. Abbattendo progressivamente tutti i limiti al crimine supremo della guerra. “Nell’epoca delle armi nucleari, se non siamo noi ad abolire la guerra, sarà la guerra ad abolire la maggior parte di noi”, scriveva nel 1970 il politologo Karl Deutsch (Journal of the Conflict Resolution, 14): adesso siamo arrivati al dunque.

L’articolo è stato pubblicato su Annotazioni il 29 novembre 2024

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Tony Blair, il criminale di guerra del rapporto Chilcot, va processato anche in nome dei pacifisti del 2003

di Gennaro Carotenuto

Leggi il rapporto Chilcot (si consiglia almeno la copertura del Guardian), dal nome del presidente della commissione d’inchiesta britannica sulla guerra in Iraq, e il sapore è doppiamente amaro. Amaro innanzitutto perché l’instabilità del mondo attuale, una regione intera nel caos geopolitico, centinaia di migliaia di morti, milioni di rifugiati, la spada di Damocle del terrorismo islamista, dipende in larga misura da quella guerra criminale, le conseguenze della quale sono pagate ancora oggi innanzitutto dagli iracheni, ai quali non è mai stata “esportata la democrazia” promessa, ma solo lutti e distruzioni

segue sul sito di Gennaro Carotenuto

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Grexit: Tsipras a mani nude contro chi vuole uccidere il progetto europeo

di Gennaro Carotenuto

Che dopo mesi di un percorso drammatico quanto sincopato si giunga o meno a un accordo che eviti la cosiddetta #Grexit, che Alexis Tsipras sia considerato l’eroe Enea che dopo la caduta di Troia prende in spalla il padre Anchise e tiene per mano il figlio Ascanio, salvando la Grecia e l’Europa o, al contrario, sia il traditore che “si è calato le brache”, il discorso va innanzitutto denazionalizzato e storicizzato. Il capo del governo greco non rappresenta tanto Atene (potrebbe essere Lisbona, Roma, Lampedusa o “degli sfruttati l’immensa schiera”) quanto piuttosto l’incerta prospettiva – la prima a farsi governo in questo continente dopo decenni – di una nuova politica e di una nuova sinistra in grado di farsi maggioranza. È una nuova politica costretta a partire da una crisi esiziale, in condizioni storiche di estrema debolezza economica, politica e culturale, rispetto al modello di società e ai rapporti di forza e produzione invalsi dalla fine degli anni Settanta a oggi. È più Davide che Achille, Alexis Tsipras. Allo stesso modo, il politico identificato come capo dei falchi, Wolfgang “Golia” Schäuble, non è tedesco. O almeno non agisce in quanto tedesco, e sbaglia chi utilizza gli stereotipi nazionali, rigidi teutonici versus greci inaffidabili, per narrare la crisi del debito greco. L’utilizzare svastiche e simbologie naziste è non solo offensivo ma inadeguato a far capire quanto accade a Bruxelles. …

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Un decalogo per capire il caos del mondo

di Roberto Savio

Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), ha recentemente reso noto che nel 2013 il numero totale di rifugiati ha raggiunto la sconvolgente cifra di 51 milioni di persone. Siamo vicini al trauma della Seconda Guerra Mondiale, quando i rifugiati erano stimati in 55 milioni. …

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