poesia

RICORDO DI ESULE

di Sergio Tardetti
 
Nel Giorno del Ricordo, pensando ai tanti che hanno dovuto lasciare tutto, portando con sé solo sé stessi e i propri ricordi…
 
 
Zara, mi disse, è la città della mia infanzia
Non saprei dire perché, mi commosse
Quella parola, infanzia. Immaginavo
 
Vicende dolorose, incerto stanco vagare
Da una città ad un’altra, finché un giorno
Approdi a un luogo che puoi chiamare casa
 
E lì pianti radici, cresci, esisti, fruttifichi
E il tuo tronco si fa ogni giorno più forte
E le generazioni di ogni tempo affollano
 
Certe tue stanze vuote e silenziose
Dove trascorri nell’ombra quei momenti
Dolorosi dell’anima, al ricordo di quando
 
Zara era ancora la tua città, il tuo mondo
Lasciato indietro, insieme alla tua infanzia
 
 
© Sergio Tardetti 2023
 
 
Foto di pubblico dominio

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SPORGENDOSI OLTRE L’ORLO DELL’ABISSO

Ho avuto il piacere di conoscere Vincenzo Calò Di Coste in occasione della pubblicazione della sua ultima raccolta poetica “La Sicurezza e Il pensiero cardiopatico”, edita da Bertoni Editore nella collana Aurora curata da Bruno Mohorovich. Per questo volume ho scritto la prefazione. Ieri Vincenzo avrebbe compiuto 40 anni, è venuto a mancare agli inizi del mese di ottobre di quest’anno (2022). Ci eravamo tenuti in contatto anche dopo la pubblicazione del suo volume, scambiandoci considerazioni sul nostro comune interesse per la poesia. Vorrei ricordarlo pubblicando il testo della prefazione alla sua raccolta di testi poetici fuori da ogni schema e da ogni convenzione. Ci mancherà come ci mancheranno le sue poesie innovative e dirompenti.

UNA PREFAZIONE

di Sergio Tardetti

Entri senza bussare né chiedere permesso nelle poesie di Vincenzo Calò e ti ritrovi, a un tratto, sull’orlo dell’abisso oscuro e insondabile dell’infinito spazio-temporale. La vertigine che ti assale a una prima lettura è talmente forte che vorresti allontanarti da lì, distogliere il pensiero che si è già impaniato in quei suoni, in quelle parole, in quelle frasi e in quei versi e riportarlo alla materialità quotidiana che circonda, abbraccia e rassicura.
Un’operazione apparentemente possibile e persino elementare, ma che incontra una qualche resistenza ad essere compiuta e completata, in virtù del fatto che ormai quelle poesie ti sono penetrate nel profondo della mente, ma soprattutto si sono insediate stabilmente nella psiche, e sollecitano a viva voce la tua presenza, per una seconda e più determinata lettura, almeno quanto la prima era stata decisamente cauta e frenata.
Torni così ad immergerti di nuovo tra quei versi, teso e concentrato nello sforzo di capire, anche se sai perfettamente da sempre che la poesia, quella che chiede e pretende di essere tale, non la si “capisce”, quanto piuttosto la si “comprende”. E non è certo una futile questione di semantica, un tentativo come un altro per prendere tempo, in attesa di venire folgorati sulla via di Damasco da una improvvisa illuminazione. Capire è un’azione della mente, un’operazione razionale; comprendere attiene più alla psiche, la parte istintiva e irrazionale di noi stessi. “Capire” è in un certo modo un accettare o un rifiutare tutto quello che è conforme o difforme rispetto alla nostra più intima natura razionale. “Comprendere” è, invece, un modo di includere nella propria anima quello che soltanto fino a un istante prima era rimasto fuori, in quanto sconosciuto, per la qual cosa è necessario attivare una modalità empatica di porsi in relazione con l’esistenza e l’esistente.
Se questo vale per la poesia in generale, a maggior ragione vale per quella di Vincenzo Calò, per la quale l’ispirazione sembra scaturire direttamente da situazioni oniriche indotte e/o autoindotte. Niente, dunque, di tutto quello che noi, lettori modicamente acculturati, abbiamo immaginato che fosse fino ad ora poesia, un antico retaggio derivante dalla frequentazione delle aule scolastiche, in giornate fatte di versi da parafrasare e mandare a memoria, perché questo chiedeva il docente di turno. Versi, peraltro, scolpiti in maniera talmente indelebile nei ricordi di ciascuno, che di tanto in tanto affiorano alla mente in funzione consolatoria o come aiuto per prendere sonno più facilmente in certe notti particolarmente difficili.
Dico questo, non certo per stigmatizzare comportamenti del tutto legittimi, derivanti dalla più o meno sollecita frequentazione delle aule scolastiche, che hanno generalmente contribuito a creare una identità sistematica della poesia, quella, appunto, appresa sui banchi di scuola, che ne consente una facile e immediata certificazione. Si tratta piuttosto di operare un confronto – o un riscontro, a seconda dei casi – fra l’appreso e quello che è rimasto escluso dall’apprendimento scolastico. Ogni scelta, ogni decisione, del resto, include elementi conformi a quella scelta, e ne esclude altri difformi. Come afferma l’autore nella poesia che dà il titolo alla prima raccolta “La sicurezza”, “Evidenziato un blocco cognitivo, si tenta di agire fuori dal normale”.
La poesia contemporanea, come quella di Vincenzo Calò, non è poesia per lettori pigri e assuefatti alla banale assimilazione di contenuti e alla ancora più banale memorizzazione di interi brani, con la complicità di ritmi orecchiabili e rime che addolciscono la potenziale cacofonia di certi componimenti. La poesia contemporanea, come quella di Vincenzo Calò, richiede, anzi pretende, il contributo attivo del lettore, chiamandolo a decrittare sensi possibili collegati e derivanti dalla sua sensibilità artistico/(ri)creativa. Accade così che, scaturita da un’attività di libera creazione, la poesia si ricrea nella mente e nelle multiformi interpretazioni del lettore, di ogni lettore di qualunque epoca, venendo ad assumere nuovi significati, capaci di trascendere il significante e amplificando quelli già presenti e suggeriti dalla suggestione degli insoliti e irrisolvibili accostamenti verbali.
L’operazione poetica realizzata da Calò rinvia ad illustri precedenti di autori del principio del secolo scorso, esponenti della corrente artistico/letteraria del Surrealismo. E fino a qui, niente di nuovo, si direbbe, se non fosse che l’autore spinge agli estremi l’operazione di accostamento di termini che si legano fra loro soltanto in situazioni oniriche e che, al contrario, nella realtà non trovano riferimenti fisici né concettuali. È proprio in questo andare oltre i limiti già sperimentati che consiste la novità delle composizioni di queste due sillogi, “Il pensiero cardiopatico” e “La sicurezza”, contraddistinte da una assoluta e perfetta omogeneità di stile, frutto di un’operazione che definire “tecnica” è decisamente riduttivo, e che potrebbe riassumersi in questa affermazione: “…il vocabolario della lingua italiana si apre da sé”. (Da L’indice alzato nella silloge “Il pensiero cardiopatico”)
Nel corso dell’accostamento alle composizioni, si avverte inizialmente un effetto di straniamento, nello sforzo di penetrare nel guscio dei versi, sforzo che nasce dalla sensazione quasi di attraversare una compatta distesa di roccia impermeabile e inaccessibile. Da una successiva rilettura ecco però trasparire il senso, quello che credevamo smarrito o perfino assente; appare, a questo punto, una poesia fatta di stratificazioni che vanno mentalmente rimosse, una ad una, per poter arrivare al nucleo ultimo, quel senso che ogni componimento racchiude e che è già accennato e suggerito a partire dal titolo. Si assiste a una completa decostruzione della realtà, che scompagina i rapporti tra gli oggetti e le parole, così come si mostrano nella nostra esperienza sensibile. Ne risulta per il lettore una sorta di rebus da risolvere, o di puzzle da ricomporre, il cui esito finale è la creazione di una nuova realtà, di una origine che non è azzardato definire psichedelica.
Una poesia, quella contenuta in questa silloge, che non si preoccupa di avere come riferimenti il bello e il buono, l’estetica e la morale correnti, ma che, invece, si pone il compito arduo e gravoso di anticipare gli elementi culturali di un futuro ancora tutto da disvelare e immaginare, del quale chi scrive si rende consapevole precursore. Il poeta non si fa condizionare e ipnotizzare dallo spirito dei suoi tempi, vacui e freddi, crea, piuttosto, uno spirito nuovo per tempi nuovi.
L’obiettivo finale, come afferma André Breton, nume e stella della poesia surrealista, resta sempre lo stesso: “La stretta poetica come la stretta carnale/ Finché dura/ Impedisce le prospettive di miseria del mondo”.

Vincenzo CalòLA SICUREZZA E IL PENSIERO CARDIOPATICO. Bertoni Editore, 2020

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Premio InediTO

2023

il PREMIO INEDITO COLLINE DI TORINO è alla sua ventiduesima presentazione.
Il concorso letterario talent scout, punto di riferimento in Italia, è dedicato alle opere inedite in lingua italiana e a tema libero, ed è l’unico a rivolgersi a tutte le forme di scrittura: poesianarrativasaggisticateatrocinema e musica.
Possono partecipare autori già affermati o esordienti, di ogni età e nazionalità. Il premio, organizzato dall’associazione culturale Il Camaleonte di Chieri (TO) e diretto dallo scrittore Valerio Vigliaturo.
Il Comitato di Lettura è presieduto dal poeta Valentino Fossati, la Giuria dalla scrittrice Margherita Oggero, e ne fanno parte: Milo De Angelis, Mia LecomtePiersandro PallaviciniUbah Cristina Ali FarahAndrea Donaera, Giulia MuscatelliFederico Vercellone, Susanna MatiRoberto Latini, Lisa Ferlazzo NatoliLaura Muscardin, Marco BoniniFausto (Coma Cose) e dai vincitori della passata edizione.
Il Premio sostiene e accompagna i vincitori delle varie sezioni, senza abbandonarli al loro destino, verso il mondo dell’editoria e dello spettacolo, attraverso il montepremi di 8.000 euro destinato alla pubblicazione, promozione e produzione delle opere, e i premi speciali “InediTO Young” destinato agli autori minorenni e “InediTO RitrovaTO” a un’opera inedita di uno scrittore non vivente (conferito nelle passate edizioni a Primo Levi, Alfonso Gatto, Italo Svevo e Alessandro Manzoni).

Per il bando consultare il sito: www.premioinedito.itinfo@premioinedito.it
LEARN MORE – 3336063633

STAFF COMUNICAZIONE PREMIO INEDITO COLLINE TORINESI
eventistampa@gmail.com
cell 3334309709

La scadenza del bando Premio InediTO – Colline di Torino – 22° edizione è stata prorogata al 4 febbraio 2023

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Stazionario sarà lei

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Poesie III

di Bruna Alboni

INSICUREZZA

Voglio chiudere il cuore
gestire il mio spettacolo
Lontana dal pericolo
Che qualcuno guardi dentro
E veda solo il vuoto.

CADONO LE STELLE

Cadono le stelle
Dicono i passanti
E non son stelle
E neanche calanti.
Cadono le stelle
Ma rimangon zolle
I desideri
Che non avveri.
Si perdono i sogni
Negli anfratti del cielo
Aspettando il disgelo
Del sole dell’alba
Coi cuori insonni
E intatti gli scrigni.

MAI PIU’

Ogni tanto lancio la mente
Oltre l’orizzonte
Al di là dell’atmosfera
Della nostra sfera.
Nel buio tra le stelle
Oltre le luci
Che può vedere solamente
Un’accurata lente
Nello spazio senza limiti
Che sembra non aver confini
Vado alla ricerca dei morti
Mai risorti.
Quando rimasero corpi
Gli affetti, i difetti o i dispetti
Scomparvero nell’aria
Dicendomi “mai più mi aspetti”.
Ma la mia mente si lancia
Tra soli lune e stelle
Per sedare l’infinita angoscia
Che la sentenza lascia.
Vuoi vedere che qualche sentimento
Tra le fiammelle del firmamento
Non si è spento?

CHIAMALO CAVALLO

Chiamalo cavallo
Un gattino spaurito
Rintanato in un cestino.
Chiamalo Cavallo
Altero e ambizioso
Potente e bizzoso.
“Ma se lo chiamo cavallo
farà confusione
non saprà più la sua funzione.
Miagolare impaziente
O galoppare velocemente?”
Chiamalo cavallo!
Il gattino spaurito
E d’improvviso
Un nitrito.

ALLA FINE IL VENTO

Un vento deciso
Ha chiuso la porta
Ed è rimasto sospeso
Il contatto con la stanza.
Impossibile riaprire
La chiave si è ritorta
La porta è sigillata.
Tra chi è rimasto fuori
E chi è rimasto dentro
Non c’è più nessun contatto
E ognuno ha perso l’altro
Così, improvvisamente
E senza preavviso.
Dovevo prendere una scarpa
Dovevo dare un bacio…
Rimarrà tutto sospeso
Rimarrà tutto incompleto…
E il vento passa in ogni casa
E chiude porte senza posa.

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