poesia

Poesie II

 

di Bruna Alboni

PENSIERI IN TRENO

La vita impone delle scelte
A cui non possiamo sottrarci
E con l’animo in lotta
Si è costretti inevitabilmente
Ad escludere ogni alternativa

Lungo le rotaie
Neve di biancospino
È scesa
Sullo smeraldo di primavera
Da una nuvola di sole.

STRADE IGNOTE

Al mio paese le case
Hanno un’anima
Qui i volti stessi
Sono case di pietra

SUONANO

Suonano alla porta.
No, non aprire,
è la notte alla soglia.
Metti il catenaccio,
se guardi entrerà l’addiaccio.
Suonano ancora.
No, non andare.
Lascia ancora spazio ai tuoi sogni
È la realtà che vuole entrare.

ATTESA

Attendere
Sperare
Chissà
Domani
Attendere.

DI FRONTE AL MALE

Mi sento inerme
Di fronte al male
Non ho parole
Non ho discorsi
Non ho difese.
Mi lascio avvolgere
Travolgere
Lacerare
Perché non ho potere
Contro il male.
Ritorno all’infanzia
All’impotenza del neonato
E sorrido anche
Al male.
Del male
Conosco solamente
Il dolore
Che rimane.

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Tradurre Brel?

di Pierpaolo Benedetti

“Lost in translation”, la poesia è quel che si perde nella traduzione. Dobbiamo a Robert Frost questa sorprendente quanto verosimile definizione di poesia peraltro condivisa da molti fra cui la regista Sofia Coppola che, estendendo il concetto dalla poesia all’amore tra innamorati di lingue diverse –l’inglese e il giapponese nello specifico- ne ha fatto un film di successo registrando una analoga perdita.
Dunque, il rischio è incombente e grande nella traduzione, al punto che potrebbe vanificare lo sforzo e rendere inutile il risultato. E tuttavia, l’impresa è affascinante, tanto più affascinante quanto più ardua. Soprattutto davanti a un testo meraviglioso scritto per essere cantato nella lingua straniera con una musica stupenda, l’uno e l’altra perfettamente consonanti in virtù del fatto che sono frutto dello stesso compositore il quale domina perfettamente la materia poetica e sonora e mescola con sapienza assonanze e rime, ritmi e timbri.
(Non ho usato a caso il termine “compositore” anche in riferimento al testo poetico perché, al pari della musica, anche la poesia è un’arte combinatoria che usa le parole invece delle note –fermo restando che anche le parole, come le note, hanno un loro suono e il verso una sua musicalità.)
Perché l’impresa riesca, tuttavia, bisogna smentire la maledizione di Frost e salvare almeno un po’ di quella poesia espressa nella lingua originale garantendone al tempo stesso la cantabilità nella nuova lingua giacché non si può dimenticare che l’opera da cui si parte è, in questo caso, una canzone. In definitiva, il testo reso nella lingua altra, per essere soddisfacente dovrà assomigliare il più possibile al “ritratto” originario (anche qui, nessuna casualità) riprodotto però in campi diversi, ragione per cui bando a tutte le “traduzioni” riduttive e traditrici – per queste bastano i vocabolari- e largo all’invenzione poetica forte della comprensione del testo e della capacità creativa di chi si mette all’opera.
Dal grado di somiglianza, per assonanza, musicalità, ritmo, suono, timbro, accentazione, metrica, significato reale e metaforico delle parole, dipenderà il grado di validità dell’operazione, avendo consapevolezza che di “imitazione” si deve trattare e non di “traduzione” che sarebbe letale.
Ma neanche “copisti” siamo, perché chi imita si riserva sempre un certo grado di dissonanza, non fosse altro per l’impossibilità di riprodurre alla perfezione il sorriso della Gioconda, che ne segna l’originalità e l’autorialità. Tradurre per imitazione è poetare seguendo un solco già tracciato.
È una questione di equilibrio, la “traduzione” non deve essere né troppo pedissequa per evitare di essere una copia, né troppo poco somigliante per non rendere riconoscibile il suo modello e quindi il suo essere imitazione.
Del resto, mi faccio forte dell’esempio di Attilio Bertolucci da cui ebbi in dono, all’epoca della lunga intervista che muoveva dalla sua esperienza alla direzione de “Il Gatto selvatico”, rivista dell’ENI fondata da Enrico Mattei, il testo manoscritto in italiano di una poesia di Edward Thomas che aveva tradotto e titolato: “Imitazione di E. T. “  dicendomi: “Queste non sono traduzioni, sono imitazioni!”. Allora non capii bene la differenza, ma oggi sì!
Il libro di traduzioni di Attilio Bertolucci in cui confluì quel testo si chiamò Imitazioni, Scheiwiller, 1994.

JACQUES BREL – LE PLAT PAYS

Avec la mer du nord pour dernier terrain vague
et des vagues de dunes pour arreter le vagues
et des vagues rochers que les marées depassent
et qui ont à jamais le coeur a marée basse
avec un finimond des brumes à venir
avec le vent de l’est ecutez-le tenir
le plat pays qui est le mien

Avec des cathédrales pour uniques montagnes
et des noirs clochers comme mats de cocagne
où des diables en pierre décrochent le nouages
avec le fil des jours pour inique voyage
et des chemins de pluie pour inique bonsoir
avec le vent d’ouest ecoutez-le vouloir
le plat pays qui est le mien

Avec un ciel si bas qu’un canal s’est perdu
avec un ciel si bas qu’il fait l’humilité
avec un ciel si gris qu’un canal c’est pendu
avec un ciel si gris qu’il faut lui pardonner
avec le vent du nord qui vien s’ecarteler
avec le vent du nord ecoutez-le craquer
le plat pays qui est le mien

Avec de l’Italie qui descendrait l’Escaut
avec Frida la Blonde quand elle devient Margot
quand les fils de novembre nous reviennent en mais
quand la plain est fumant et tremble sous jouillet
quand le vent est au rire quant le vent est au blé
quant le vent est au sud ecoutez-le chanter
le plat pays qui est le mien

JACQUES BREL – IL PIATTO PAESE (Versione cantabile)

Con il mare del nord / per sola terra ondosa
e un mare di dune/ a fermare le onde
e le onde arricciate / che scavallano il mare
e non lasciano il cuore / nella bassa marea
con un finimondo / di brume a venire
con il vento dell’est/ – sentitelo tenere
questo piatto paese / che è il mio paese

Con delle cattedrali / per tutte montagne
e neri campanili / come alberi di cuccagna
con dei diavoli in pietra / che scrostano le nubi
con il filo dei giorni / come unica via
e cammini di pioggia / come soli buonasera
con il vento dell’ovest/ -sentitelo volare
questo piatto paese / che è il mio paese

Con un cielo così basso / che un canale resta appeso
con un cielo così basso / che dice tutta l’umiltà
con un cielo così grigio / che un canale è perduto
con un cielo così grigio / da farsi perdonare
con il vento del nord / che s’è accartocciato
con il vento del nord / –sentitelo piegare
questo piatto paese / che è il mio paese

Con anche l’Italia / che scenderà la Schelda
con Frida la Bionda / quando si fa Margot
quando i fili a novembre / ritornano di maggio
quando la piana è fumante / e tremula sotto il luglio
quando il vento è al sorriso / quando il vento è nel grano
quando il vento è al sud /–sentitelo cantare
questo piatto paese / che è il mio paese

Notizia biobibliografica
Pier Paolo Benedetti è nato a Rimini nel 1942 e si è laureato in sociologia nel 1967. E’ stato dirigente Eni dal 1982 al 2001 e ha già pubblicato, di poesia, Nature morte con parole (1995) e Di terra di mare di me (2000) per i tipi delle Edizioni Per Bellezza;  Incipit (2010) e Viaggio alla fine del mondo e ritorno (2011). Nel 2019 ha pubblicato con l’editore Raffaelli il suo nuovo libro di poesie Un nuovo altrove miriadi di piccole onde tirate a secco dall’alta e dalla bassa marea di memoria in memoria conducono al mare.

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Poesie

di Bruna Alboni

FLASH

Una stella brillante di pazzia
ha illuminato le mie mani.
Il mio amore per te,
compagno di una sera,
è stato un flash
una chimera spenta.

IL FANTOCCIO

Mi sono coricata
col fantoccio del mio amore
stretto fra le braccia,
come quando
nell’infanzia
tenevo le bambole.
E non ho dormito,
per timore che qualche malandrino
lo rubasse.

SERA

“Son tornate le rondini”
“Si, ma i tordi non ci sono più”
“Già, ti ricordi quanti ce n’erano un tempo!”
“Oh, un tempo!”
Contro la finestra
ancora illuminata
dalla sera
non ancora completa
i due visi increspati
ricordano
momenti passati.
Ognuno per sé.
L’uno socchiude gli occhi
con rassegnazione
l’altra guarda al cielo
con implorazione.
E intanto fuori
nel cielo, nell’orto
nel campo
nel prato
i colori risplendono ancora.
Ritornano gemme nei rami
E gialli nei fossi.
Ma il tempo per loro non si rinnova.
Ogni tempo si posa
su quello trascorso
e diventa una pietra
che pesa
come stasera.

INVERNO

La neve è alle soglie
dei tetti
e già il suo gelo
la precede
nell’aria
di un dicembre
appena entrato
e già coperto
d’inverno.

PREOCCUPAZIONE

Improvviso e inatteso
arriva il tormento
di un sottile turbamento.
Un soffio di vento
prepotente e vigoroso
che travolge il momento
che sbatte la porta
del cuore e della mente
con un suono fastidioso
continuo e insidioso.

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I Viaggi di Maira (recensione)

di Sergio Tardetti

Maira Francavilla rappresenta il prototipo del viaggiatore, da non confondere con il turista, che è, piuttosto, un individuo in cerca di emozioni plastificate e senza rischi, di visioni preconfezionate e predigerite, e che viaggia soprattutto per poter raccontare a quelli rimasti a casa quanto fossero belle le stanze degli alberghi o le cabine delle navi da crociera, di quanto il cibo non fosse poi niente di speciale, di quanto si è divertito nei dopocena organizzati fino al minimo dettaglio e altre simili amenità. Non racconterà, invece, mai le emozioni che ha provato, non ne sarebbe capace, come non era stato capace di ascoltarle quando si presentavano alla sua mente; viaggia infatti con il corpo, non con l’anima, con la macchina fotografica o il telefonino sempre in mano, pronto a catturare immagini da mostrare al ritorno a parenti, amici e conoscenti, soprattutto per suscitarne invidia e rimpianto per non essersi aggregati alla bella comitiva. Le emozioni sono, al contrario, impalpabili, impossibili da fotografare e difficili da catturare, se non con tutti i sensi e con la memoria. Il viaggiatore, diversamente dal turista, si immedesima sempre nei luoghi in cui si muove, al punto da avere la sensazione di esserci già stato, anzi, di averci addirittura vissuto e forse di esserci anche nato, quasi certamente in un’altra epoca. Il viaggiatore è empatico, capace di avvertire la presenza, anzi, le presenze che lo circondano, capace di sfiorare con la mano una pietra, una porta o una colonna di qualche antica chiesa o edificio e avvertire la mano di qualcuno che si è già posata lì in qualche altra epoca. Maira non scatta istantanee a raffica, tentando di congelare l’attimo che sfugge, preferisce tenere gli occhi bene aperti, anziché incollarne uno dietro l’obiettivo, attraverso il quale si può focalizzare una limitata porzione dello spazio che ci circonda, dimenticando e infine perdendo di vista tutto il resto. Maira cattura, piuttosto, impressioni che continueranno a persistere molto a lungo, anche dopo il ritorno, sa che la vera ricchezza del viaggio è proprio quella di moltiplicare le emozioni, aggiungendole alle tante già presenti nella propria anima. Sarà poi, una volta a casa, che quelle emozioni si condenseranno in parole che potranno dare vita a brevi narrazioni oppure, come in questo caso, a poesie di una nitidezza e di una raffinatezza che non deludono le attese. Nella loro essenzialità contengono tutto quello che ha attirato l’attenzione di Maira nel corso del suo viaggio, trasmettendo a chi legge le stesse emozioni che ha provato in quegli istanti e condividendole con la stessa spontaneità con la quale si presenterebbe un comune fatto quotidiano. Sono, a mio parere, opere di alta oreficeria poetica, lavori di finissimo cesello, capaci di mettere in risalto elementi di particolare pregio per la memoria di chi ha visto e vissuto quei luoghi e quelle atmosfere. I componimenti della raccolta possono essere considerati “Poesie DI viaggio”, ma anche “Poesie DA viaggio”; scritte, cioè, con l’occasione del viaggio ma anche da portare con sé in un viaggio, se si dovessero visitare quei luoghi dei quali le poesie raccontano e ripercorrere quell’itinerario. Un resoconto necessariamente infedele – conosciamo tutti bene i tradimenti della memoria – ma veritiero al tempo stesso, quasi un raccontarsi a se stessi, mentre dentro l’anima si sentono scaturire le emozioni. Il percorso, descritto attraverso immagini di intensa bellezza, si snoda attraverso luoghi facilmente identificabili sopra una carta geografica, ma nei quali, quando avessimo l’opportunità di raggiungerli, non troveremmo mai quello che è balzato con tutta evidenza agli occhi di Maira. Ognuno viaggia con il proprio bagaglio di conoscenze ed esperienze ed è proprio attraverso quelle che riesce a filtrare le immagini, i suoni, i profumi e i colori dei luoghi che si offrono ai suoi occhi. Tutto può diventare pretesto per una poesia, perfino la partenza, non così avventurosa come la si immaginerebbe ma perfino comune e ordinaria. Eppure, quanta poesia si respira fin dalle prime battute! Le parole sembrato accuratamente decantate dal depositarsi e dal sedimentarsi delle emozioni, il lembo di carta del quale si parla nel titolo appare a un tratto, quasi a volerne ricordare la presenza reale e a giustificare il senso del titolo. Il resto, tutto quello che a questo punto ometto intenzionalmente, potrete scoprirlo leggendo “Fino a Capo Nord con un lembo di carta”.

Maira Francavilla – Fino a Capo Nord con un lembo di carta. Bertoni Editore, 2021

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Puişì/Poesie

Foto di Oriano Golnelli

di Pierluigi Canestrari

I sogni sono prestiti che vanno ripagati: allora s’era giovani con cuori da riempire e sfide con la vita che si apriva, anche il rifiuto vestiva d’esotismo orientale.  
Quasi per sentito dire chiudevo una storia millenaria in un libretto rosso e in italiano.
Poi passato il tempo, il caso, i sentimenti, placate le avventure incoscienti, ho scoperto la letteratura, che c’era sempre stata ma non così per me: totale nel senso di ogni fare. Leggere poesia: tutta la poesia, e la storia: tutta la storia, e il pensiero: tutti i pensieri, e accorgersi che tutto era impossibile d’avere.  Ma qualcosa più del giorno prima rimaneva.  Il tempo dava forma al cumulo d’immagini e parole. Confronti, similitudini fra epoche diverse e mondi e lingue cercando leggi umane che spieghino e acquietino le ansie.
” Non trovi che lo spirito cinese della campagna, della nostalgia, dei sentimenti, di incompiuti amori, sono gli stessi in Cina e qui da noi?”
” Un poco, sì, si possono tradurre fra di loro, certo, un’esistenza non uguale ma tristemente simile in quello che rimane”.

Êiba

Am scid,

e sol int i occ,

dop una scaia

ch’la m’a fat sugné

‘d  puté murì a e bur,

‘d no piò pinsé.

Am so alvé,

al gamb al ciapa forza

e al brazi e e col

e nenca i mi pinsir.

Acmenz a vdé e paesag

Cun i occ e cun e cor,

la s’s-cida la pasion

par la mi tera, e d’li,

una pasion bastérda,

un dè a toc e zil

e dop a so int la mérda

(Hai Zi)

Alba//mi sveglio/il sole negli occhi/dopo una sbronza/che m’ha fatto sognare/di poter morire al buio/di non pensare più. /Mi sono alzato, /le gambe prendono forza/e le braccia e il collo/e anche i miei pensieri. /Comincio a vedere il paesaggio/con gli occhi e con il cuore/si sveglia la passione/per la mia terra, e per lei/una passione bastarda/un giorno tocco il cielo/e dopo sono nella merda.

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