Donne nel dopoguerra

Un catalogo fotografico per la storia del Centro italiano femminile
di Gianna Proia

Un volume per dare una memoria storica visiva al Centro Italiano Femminile. A cura di Fiorenza Taricone è stato pubblicato di recente il catalogo fotografico dal titolo Donne nel dopoguerra. Il Centro Italiano Femminile 1945-2005: una storia per immagini.

Fiorenza Taricone, è studiosa da tempo dell’associazionismo in Italia tra l’Ottocento e Novecento e dell’evoluzione dei diritti civili e politici. Tra i tanti volumi di cui è stata autrice, Teresa Labriola: biografia politica di un’intellettuale fra Ottocento e Novecento, Ausonio Franchi: democrazia e libero pensiero nel XIX secolo, Isabella Grassi (diari 1920-21). Associazionismo e modernismo, Teoria e prassi dell’associazionismo italiano nel XIX e XX secolo; l’ultimo in ordine di tempo ha riguardato la figura di un appartenente al pensiero sansimoniano che svolse un ruolo cruciale nel movimento di liberazione femminile nella Francia del primo Ottocento: Il sansimoniano Michel Chevalier: industrialismo e liberalismo, pubblicato lo scorso anno.

In quest’ultimo volume, la curatrice ha ripercorso, come rivela il titolo, la storia, le tappe fondamentali del CIF attraverso le immagini, tanto da costruire un excursus storico per immagini dell’associazione dalle origini alla contemporaneità. “In primo luogo – ha precisato – si vuol far parlare le immagini. In secondo luogo, visualizzare l’intreccio teorico e operativo della sua azione. In terzo luogo, evidenziare i rapporti collaborativi con quegli uomini e quelle donne che tanta parte hanno avuto nella storia della Repubblica”.

F. Taricone con molta precisione ha illustrato le nove sezioni in cui è stato diviso il catalogo, dando la possibilità alle lettrici e ai lettori di rivivere avvenimenti, rivedere volti di persone che hanno segnato le tappe più significative del cammino: Angela Cingolati Guidi, Maria Unterrichter Jervolino, Tina Anselmi, Maria Federici solo per fare qualche nome, donne della Costituente quindi, della Repubblica, dell’associazionismo.

La prima sezione è dedicata alle linee direttive del Centro Italiano Femminile, esplicitate nello statuto elaborato nel settembre 1944, la seconda mette in evidenza l’impegno sociale e politico, come si configura attraverso l’elaborazione dei primi statuti e l’azione in merito alla condizione femminile.

I compiti a cui le donne erano chiamate a impegnarsi erano contenuti in un opuscolo “sorto dalla necessità di raggruppare e coordinare le forze femminili di attiva e franca professione cattolica, in vista dei grandi compiti morali, sociali e civili che la pace affiderà alla responsabilità della donna italiana”. La donna doveva, quindi, essere pronta a sostenere principi morali e sociali, a difendere la famiglia, e a contribuire alla ricostruzione del Paese.

Dedicata al lavoro è la terza sezione che illustra le tante attività lavorative che impegnavano quotidianamente le donne. “Il Cif ha avuto il merito di sapersi distaccare da una visione originaria cara agli ambienti cattolici non progressisti della donna lavoratrice che, in quanto tale, sarebbe stata di disgregazione dell’unità familiare. Pur dando la precedenza a quest’ultima, erano riconosciuti alle donne i meriti del doppio lavoro, svolto in casa e fuori, e il valore economico di uno stipendio aggiuntivo, anche se quello del capofamiglia restava la fonte di reddito primaria”. Il volume contiene foto che mostrano le diverse attività che impegnavano le donne: i lavori sartoriali, le donne al telaio, le tipografe, le donne che svolgevano lavori in muratura, le venditrici di agrumi e di vino, le impagliatrici, le donne che lavorano in miniera, fino ad illustrare le prime due donne commissari di polizia: Anna Maria Jannuzzi Coniglio e Francesca Milillo Taldone.

“Con il progredire della scolarità femminile – ha sottolineato F. Taricone – si riconoscono via via anche le ambizioni professionali e intellettuali delle giovani generazioni, che cercano di farsi spazio in un mondo lavorativo a totale dimensione maschile. Il Cif affianca le iniziative di numerose associazioni femminili e soprattutto azioni legislative tendenti a capovolgere le discriminazioni cui erano fatte oggetto anche donne provviste di curriculum e titolo di studio adeguato”. Il Cif cambiò anche la visione della famiglia “vista non solo come luogo di conservazione e riproduzione di valori, ma anche e soprattutto come luogo di solidarietà e di apertura alla società”, con una modificazione dei ruoli maschili e femminili, genitoriali e affettivi. L’idea di indissolubilità della famiglia portò comunque il Cif a schierarsi contro i progetti di legge divorzisti a partire dagli anni Sessanta.

“Dell’attenzione all’istituzione familiare è testimonianza sia il lavoro assiduo di studio che il Cif dedica alla riforma del diritto di famiglia, sia l’interesse per i consultori come strutture di sostegno; infine, il Centro incontra nelle sue riflessioni sulla famiglia anche quelle legate alle politiche sulle pari opportunità, attinenti alla conciliazione dei ruoli e dei tempi all’interno delle famiglie, con il coinvolgimento inevitabile della partnership maschile, operando negli organismi preposti quali la Commissione Nazionale per le Pari Opportunità fin dal suo nascere con la presenza di Alba Dini, presidente del Cif dal 1997 al 2003, e di Maria Chiaia, presidente dal 1988 al 1997. (15) A chiudere la sezione sono due foto che ritraggono rispettivamente una manifestazione di uomini e donne medico e un corteo di lavoratori e lavoratrici a Roma negli anni Settanta.

La quarta sezione è dedicata al settore dell’educazione, la quinta illustra l’impegno profuso nella società civile e politica, la sesta pone l’attenzione alle generazioni del futuro e il cammino dell’idea d’Europa, la settima delinea i momenti più significativi delle udienze papali, l’ottava è dedicata alla cura della memoria storica e la nona al materiale tratto dal periodico del Centro Italiano Femminile.

L’attenzione del Cif andava, quindi, dall’educazione, al lavoro, dai giovani alla famiglia fino all’idea di Europa. Nel V Congresso nazionale dedicato all’Educazione della donna, alla conoscenza dei suoi doveri e diritti del 1953 il catalogo mostra l’on Maria Federici. In una foto compare lo stendardo del Cif con il motto che era stato di Santa caterina da Siena, patrona del dell’associazione: “Non si dorma più che noi siamo chiamati e invitati a levarci dal sonno. Dormiremo noi nel tempo che i nemici nostri vegliano?”.

Il Cif promuoveva incontri, dibattiti, cicli di conferenze per informare e sensibilizzare l’opinione pubblica su questioni rilevanti e il catalogo ha ripercorso attraverso le immagini le tappe dell’evoluzione di un pensiero e di un impegno che ha sviluppato il Centro in modo originale, ispirandosi con lungimiranza all’idea di una democrazia solidale e paritaria.

“Le immagini – ha sottolineato F. Taricone – riflettono ciò che era realmente nelle intenzioni del Centro: l’agire come un segnalatore delle conquiste, ma anche dei nodi della modernità e della contemporaneità, dell’importanza del quotidiano in cui erano tollerate eccessive disparità sociali a danno dei deboli e dei non protetti; ciò restituisce a noi oggi, attraverso una testimonianza tangibile come la fotografia, una ulteriore possibilità di conoscenza e di riflessione su un passato che in termini di realtà è prossimo, ma appare più remoto e meno afferrabile di quanto la vicinanza del tempo faccia credere” .

Taricone Fiorenza (a cura di), Donne nel dopoguerra. Il Centro Italiano Femminile 1945-2005: una storia per immagini. – Roma: Edizioni Studium, 2005.

il paese delle donne, 23 marzo 2008

2 commenti su “Donne nel dopoguerra”

  1. LA MEMORIA STORICA E IL DISAGIO TRA GENERAZIONI
    La passione giovanile come forza innovatrice nelle società

    di LAURA TUSSI

    Intervento di Fulvio Scaparro presso la CASA DELLA CULTURA per il ciclo IL DISAGIO INVISIBILE

    Il legame del malessere non solo adolescenziale, ma dell’umanità intera, il disagio della civiltà con la città non deve portare a trovare una causa di per sé e in sé nella metropoli. Per esempio, Milano è stata per secoli una fucina di idee, di sogni, di utopie, di imprese galvanizzanti per i giovani; c’era lavoro, una più alta percentuale di occupazione, quindi una realtà molto fertile. Nella letteratura latina ogni tanto si trovano delle invettive contro la città, come anche nella letteratura giapponese. Lo scritto di un esponente di una corrente letteraria “Gli uccelli migratori” di inizio ‘900, cita “Le grandi città deformano i giovani, smorzano e sviliscono i loro impulsi, li estraneano da un modo di vivere naturale e armonico. Dal grande mare di case sorge il muro ideale: salva te stesso! Afferra il bastone del viandante e cerca nuovamente ciò che hai perduto”. Se i giovani sognano hanno utopie, sono vivi e lottano in ogni senso, danno speranza. L’attacco alla città è spontaneo, ma non può essere un alibi. Si può imparare tanto sulla naturalità di alcuni comportamenti, ha un’origine nella nostra specie che rimane comunque sempre nata per sopravvivere, riprodursi, con fertilità di idee, di progetti, di creatività, di ideali e non ci basta sopravvivere, ma occorre vivere.
    Se una famiglia investe troppo sul figlio (istinto naturale) subentra l’epoca del “signorino soddisfatto”, in cui esiste l’erede di qualcosa che non ha prodotto e che non gli è spettante. E’ straordinaria la mancanza totale di memoria che sussiste non solo negli adolescenti, ma anche nei genitori riguardo, per esempio, la conquista di alcuni diritti. Attualmente un ragazzo non sempre è consapevole che molte delle libertà di cui gode sono state conquistate a caro prezzo. Tutto quello che una persona riceve deve essere rimeritato, cioè lavorare come se non si avesse già tutto. Tutto quello che abbiamo è frutto di lavoro, ma purtroppo sussiste un lungo periodo di tempo in cui questa trasmissione della memoria è letteralmente saltata, forse perché abbiamo troppo disprezzato ed emarginato i vecchi. L’uscita degli anziani dalle nostre case ha reso le nostre vite irreali, in cui convivono persone famigliari che svolgono ciascuno il proprio compito quotidiano, senza rendersi conto delle ciclicità dell’esistenza, della nascita, della morte, della vecchiaia che comporta inefficienza, stanchezza, improduttività, stasi. Il vecchio è la memoria vivente. Oggi non si sa parlare di guerra ai ragazzi, perché le generazioni che hanno vissuto le guerre sulla propria pelle o non sono ascoltate o sono scomparse, per cui si parla di guerra solo in termini di battaglie, conquiste, film, morti a migliaia, ma che non sono nel nostro presente, nella nostra realtà. Non vi è nessuno che racconti la miseria della vita quotidiana nella città, non al fronte. Le miserie della guerra non vengono più raccontate perché non ci sono più testimoni. Tutto questo aspetto fa in modo che attualmente cominciamo a preoccuparci di una situazione che non riguarda solo gli adolescenti, ma anche tutti noi. Il rapporto difficile con gli adolescenti fa parte letteralmente della nostra specie. Una tavoletta del codice di Ammurabi cita l’intolleranza nei confronti dei giovani che sono irrispettosi, maleducati, e ingravidano le ragazze.
    Shakespeare fa dire a un pastore le stesse cose dei giovani.
    Oscar Wilde fa una battuta sul rispetto dei giovani. L’età delle passioni può durare una vita, l’adolescente sano deve essere appassionato, vivo, la passione è anche dolore, depressione, tristezza, è anelito verso qualcosa che porta oltre il travaglio dell’esistenza quotidiana, della sofferenza anche passionale.
    L’adolescente nel distacco dalla madre vive il rapporto oggettuale all’ennesima potenza e quindi sperimentare, affezionarsi, attaccarsi, vivere è segno di vita e non si può essere allo stesso tempo puri e maturi, infatti la maturazione è molto relativa.
    La maturità può significare la capacità di staccarsi senza perdere la voglia di trovare nuovi collegamenti, nuove relazioni, intensi interessi, vivaci passioni. La maturità stantia, fasulla e ipocrita del perbenismo benpensante è qualcosa di compiuto, non è un processo in fieri, una dinamica perpetua. L’adolescente si trova in una situazione particolarmente vivace, creativa, produttiva, piena di pathos, “patologica”, perché ha davanti tante possibilità di attaccarsi e staccarsi, ma la passione politica, sociale, d’amore, d’affetto, lo porta sempre a voler divorare tutto fino in fondo. La forza e la potenza dell’adolescenza per tutta la nostra società è davvero notevole, come un motore di passione in evoluzione, incalzante. Dylan Thomas sostiene “La forza che attraverso il verde calamo sospinge il fiore” parlando di giovinezza.
    L’eccesso degli eccessi, la passione caratterizzata dal troppo è il troppo in tutto, nel male, nel bene, nell’autodistruttività, nella ricerca di indipendenza, tramite le dipendenze, come illusione pura.
    LAURA TUSSI

  2. AUTOBIOGRAFIA PER ACCOMUNARE CULTURE E SUBCULTURE DIFFERENTI.
    LA COMPLESSITA’ INTROSPETTIVA
    Spazi e tempi di racconti in evoluzioni narrative.
    Le trame della narrazione.

    di LAURA TUSSI

    L’approccio biografico, in ambito sociologico, rimanda come scenario all’America degli anni ’20 e ‘30 con la Scuola di Chicago, la cui prassi veniva espletata tramite la raccolta di autobiografie relative al disagio urbano, con lo scopo di mettere in comunicazione culture e subculture diverse. La ricerca è supportata da interviste, testimonianze, schede autobiografiche. L’utilizzo delle storie di vita si trasforma in strumento d’indagine e di conoscenza autonomo, in una metodologia qualitativa con un’autonomia epistemologica di sfida scientifica dell’uso di storie di vita nell’assegnare alla soggettività un valore di conoscenza.
    La narrazione autoriflessiva racconta vicende che si svolgono nella prassi umana. La vita è praxis di rapporti sociali trasformati in struttura psicologica e narrativa. Il metodo biografico fa scaturire un’ingente potenzialità relazionale che rivoluziona l’impostazione tradizionale dell’analisi epistemologica, come l’interazione tra soggetto e ricercatore che si collocano attivamente nel contesto della ricerca e sono implicati nel processo riflessivo e metabletico.
    L’approccio autobiografico, nell’ambito delle scienze dell’educazione, diviene strumento di ricerca qualitativa perché si basa sulla soggettività, intesa come unicità e specificità. Con il pensiero della complessità, supportato dall’epistemologia sistemica, subentra la “qualità” come categoria significativa nella ricerca del metodo autobiografico, che diviene esperienza euristica ed insieme ermeneutica, in un approccio che si configura quale strumento, non solo di ricerca, ma anche di formazione. L’autoformazione derivante dalle esperienze di vita sono fondamenti del processo formativo. L’autoriflessione biografica è una modalità di apprendimento dall’autobiografia, perché permette di riscoprire se stessi tramite l’analisi di aspetti dell’esperienza troppo spesso relegati all’oblio. La pratica autoformativa del metodo narrativo costituisce un mezzo di autoriflessione e autoconoscenza quale ricostruzione e riedificazione della personale identità nella ricerca dei diversi sé del passato, grazie ad un consapevole ritorno interiore e autoriflessivo, tramite la narrazione di sé, con la possibilità di attribuire significato anche al presente, di esplicitare connessioni e rimandi del testo di una vita, per riformulare un progetto di sé. Il passato del vissuto personale trascorso non è sempre lineare e continuo, ma frammentario e discontinuo, per cui subentra la necessità di cogliere i nessi di interdipendenza o connessione, armonizzando la molteplicità dei diversi tempi di vita. Il sé, la vita, narrati dalla soggettività del narratore si declinano verso la ricerca di senso e significato nelle esperienze personali esplicate durante il rapporto tra uditore-ricercatore e soggetto-narratore, impegnati a ricercare un senso e costruire un significato dell’identità proiettata nelle tracce dei percorsi dell’autobiografia che permettono di ristrutturare immagini di sé destinate a mutare e formare, in modalità poliedriche, le polimorfe facce dell’identità personale. Il tentativo di ridefinizione e riconoscimento del sé come istanza dinamica nelle sue poliedriche sfaccettature, si genera nel racconto autobiografico, dando origine ad un’identità polimorfa, molteplice, errante, nomade, priva di stabilità e in grado di presentare svariate dimensioni. La molteplicità dell’identità non è da attribuire ad una istanza frammentaria di tipo patologico, ma ad un Io diviso nelle molteplici parti del suo sé, ovviando al rischio di disgregazione. Pur coesistendo diversi sé all’interno della psiche umana, rientra nei compiti dell’età adulta far fronte all’esperienza dell’incertezza nella difficoltà di identificarsi con le diverse parti, facendole coesistere. Il processo dell’autobiografismo tramite l’esplicazione narrativa può ingenerare processi cognitivi autoriflessivi che rendono espliciti i percorsi individuali di significazione cognitivo-emotiva della propria esperienza. La modalità di pensiero autocognitiva attiva una riflessione retrospettiva e organizzazionale a cui si combina un’attività cognitiva immaginaria e finzionale tramite cui il soggetto sviluppa una dimensione progettuale nel futuro, divenendo capace di costruire ed inventare uno spazio di vita proiettato in una dimensione futuribile. Il nesso indissolubile tra memoria e identità, tra autoriflessione e autobiografia mette in evidenza la memoria come realtà dinamica costruttiva, narrativa, tra oblio e ricordo, censure e rivelazioni, strutturata come un mosaico. L’autoriflessione biografica in età adulta favorisce un’articolazione flessibile della soggettività tramite la produzione narrativa.

    La pedagogia narrativa e il disagio adolescenziale

    La pedagogia narrativa e autobiografica (o della memoria retro-introspettiva) e l’insegnamento dialogico sono gli strumenti didattici ed educativi migliori per affrontare le problematiche preadolescenziali ed adolescenziali in cui gli insegnanti si trovano sempre coinvolti. La pedagogia della memoria e la didattica retrospettiva, inerente la propria autobiografia, è uno strumento ottimale anche per riconoscere il disagio nascosto in classe, e pur non essendo psicologia, questo strumento ha in parte la pretesa di cercare di sviscerare i problemi per metterli in discussione o comunque portarli alla coscienza. Ho approfondito anche a livello teorico gli argomenti inerenti il metodo autobiografico anche a livello di produzioni scritte.
    Infatti il sapere autobiografico ha una sua costruzione. Il sapere autobiografico, anche a livello scolastico, indica un modo di essere più che un’azione ed è modellato su conoscenze stabilite e cumulabili, con caratteristiche di centrazione e gerarchizzazione, quale intreccio fattuale e normativo che coinvolge, crea e utilizza simultaneamente sistemi di concettualizzazioni e di valori, tramite la possibilità di riscoprire con un lavoro di metacognizione, origini e radici esperienziali delle personali conoscenze e parti delle identità cognitive. La riflessione epistemologica sul proprio operato e studio, basata sul paradigma della complessità, valorizza e scopre il rapporto con il sapere costruito all’interno del progetto di laboratorio autobiografico, modellato su seduzioni e relazioni reali, appartenenti alla trama vitale ed al contesto pratico, quale sapere costruito, prodotto dall’esperienza con le cose e dalla relazione con noi stessi. La svolta epistemologica prevede la visione del sapere come un tutto che integra sistemi e livelli di conoscenza prima ritenuti delimitati da una metodologia parcellizzante e ipersemplificante. L’autobiografia quale metodo e percorso di conoscenza e di pratica attiva, trans o metadisciplinare, attraversa e unisce tutti i campi del sapere che hanno come punto focale il vivente e come trama organizzatrice la totalità autoorganizzantesi. La biografia è un processo ontogenetico e sociogenetico proprio del percorso evolutivo di un soggetto e della sua narrazione e diviene modello e non metodo. Un modello alternativo e concreto di conoscenza, di ricerca e formazione, perché non esiste un modello senza una dinamica epistemologica portatrice di una irriducibile complessità, specie relativa alla ricerca relativa alle storie di vita.
    L’autoformazione è tecnologia alternativa del dominio educativo, così come il metodo dell’intervista biografica è alternativa metodologica propria della ricerca sociale. La svolta epistemologica del modello autobiografico è passaggio dalla fiducia onnipotentistica dell’individuo tecnologico in concezione lineare, cumulativa e evolutivista. La formazione deve consistere in un saper fare. La logica della produzione si accorda male al legame della riflessione retrospettiva, quale autobiografia in quanto forma di conoscenza di sapere in senso non solo legittimo, ma anzi privilegiato. La categoria dell’autobiografico non è riducibile all’ideologia della formazione e nemmeno a pura e semplice metodologia, ma possibile istanza trans-formativa e motivazionale. Il processo di formazione tramite il metodo autobiografico diventa presa di coscienza per attivare un empowerment che scaturisce dalla scoperta di avere una tradizione, una storia, un’identità. L’epistemologia della critica in autobiografia, della comprensione e della riflessività è antidoto alla tecnologizzazione della formazione, quale pre-requisito per ogni forma di cambiamento istituzionale, anche in ricerca e in formazione, fino ad assumere connotati di dissidenza. Una importante istanza trans-formativa riscontrabile nel metodo autobiografico consiste nella ricerca di senso e significato, come la ricerca del bene, dell’identità, della conoscenza che diventano saggezza intesa come arte del vivere.
    Il percorso autobiografico attraversa plurimi significati, connotati di senso, simbolismi e trame che ogni storia di vita presenta, con sensi, emozioni, rimandi diversi oltre l’uso didascalico e pleonastico delle accezioni, con nessi profondi anche nella stasi, nei silenzi, nei non detti, in tutte le note marginali della nostra esistenza. Il pensiero narrativo interpreta la storia di vita come testo presente da decodificare, quale essere altro rispetto alla vita in sé e per sé, nella questione del significato aperto a potenziali de-costruzioni e ricostruzioni. Il circolo ermeneutico con la sua infinita e costitutiva ricorsività non è solo rappresentazione dell’esistenza, ma permette un discorso narrativo che costituisce e inventa la vita. Il modello autobiografico consiste in una pratica euristica che si esplica in pensiero narrativo e discorsivo, caratterizzato da intenzionalità, sensibilità al contesto, ragionamento analogico/metaforico, in un globale processo di costruzione di senso, quale concezione ultima dell’educare.

    La progettualità temporale delle storie di vita.

    Nel fare storia come ricerca delle ragioni di vicende trascorse e attuali nel passato, la narrazione si configura come un non possibile e non pensato del processo trasformativo della dimensione autobiografica del progetto quale topos educativo come costruttore di un disegno esistenziale. La storia di una vita è rifigurata quale incompiutezza narrativa di riconfigurazione di una trama di storie in nozioni di incompiutezza narrativa nell’incontro con le molteplicità e le rappresentazioni di sé tramite l’identità narrativa. Il riconoscimento delle molteplicità di narrazioni possibili del progetto autobiografico e biografico che disegna la forma dell’anticipazione del passato consiste nella costruzione dinamica del sentimento di identità. La storicità del progetto ha un potere mediatore tra lo spazio e il tempo dell’esperibilità nella tensione dialettica dell’immaginazione e della simbolizzazione del prevedere, progettare e pianificare. L’esperienza apicale del margine di libertà può reinventare e risignificare l’imprescindibilità della relazione significante e significativa tra storia passata e immaginata in autobiografie e progetti, vettori simbolizzanti che non si concludono e non si esauriscono nel racconto retrospettivo. I caratteri e i bisogni latenti di riconoscimento e riorientamento consistono in tensioni tra il già avvenuto e l’ancora da realizzarsi. La riappropriazione riorientata nella relazione tra progetto e storia narrata è una condizione di apprendimento permanente, per cui il soggetto si impegna in progetti di delucidazione ed emancipazione di ricerca del topos epistemologico e vitale del processo metabletico nel racconto autobiografico. La riflessione di significati di azioni e connessioni che disegnano questa forma di storia nella riattualizzazione di significato, senza perdersi nel cambiamento stesso, si rileva in prefigurazioni di sé, parti narrative soggettive ricercate in un’immagine credibile. Il progetto è occasione di esperibilità di un’incompiutezza intinseca alla storia del soggetto, nel senso di sostenibilità, prefigurabilità e praticabilità. Il soggetto vive l’esplorazione, premettendo una prefigurazione e una precomposizione reversibili, nella tolleranza all’ambiguità e all’attuazione di abilità di negoziazione rispetto a momenti di crisi o perdita intrinseci all’autobiografia-progetto, in cui il soggetto esperisce e apprende comportamenti erranti ed erratici.

    La creatività narrativa

    La valenza formativa della molteplicità minacciosa e disperdente, vitale e rigenerante di un incontro esistenzialmente significativo ed educativo, rivela molteplicità e occasioni di apprendimento e cambiamento. Reinventare e risignificare l’incontro con le molteplici narrazioni di sé del soggetto nel ruolo di autore e attore, nella sperimentazione di un’autorità come progetto è importante fattore di costruzione dell’identità personale del soggetto, quale creatore di azioni e di senso.
    L’identità narrativa rappresenta anche la potenzialità di interpretazione del senso della narrazione, nell’orizzonte temporale soggettivo, frammentario e multiforme, della riconfigurazione semantica nella ristrutturazione ricorsiva dei giochi della narrabilità di sé. L’identità narrante avvia l’atto narrativo significativo e significante, retrospettivo e progettuale, che incontra una possibilità, un’occasione di riconnettere nessi e logiche di senso nei ritmi e nelle forme della narrazione multidirezionale e multiritmica.

    La metodologia autobiografica
    Le relazioni d’ascolto nel racconto e le tecniche di ricognizione

    L’intervista è uno strumento di ricognizione autobiografica che presenta vincoli e possibilità ed è utilizzabile secondo vari intrecci di linguaggi e diversificazioni legate al lessico adottato, in modo funzionale e coerente al contesto interattivo, mettendo così in evidenza, nella fase narrativa, le caratteristiche dei soggetti e gli obiettivi del percorso finalizzato alla progettualità formativa.
    L’approccio autobiografico risulta adattabile e flessibile relativamente ai diversi contesti nel cui ambito viene espletato ed applicato, anche tramite l’utilizzo della tecnica dell’intervista a cui affidare la narrazione di sé e l’ascolto, da parte del ricercatore biografo, che raccoglie le esperienze dell’ascoltare e del raccontarsi nel progetto di revisione e nell’intero percorso di ricostruzione autobiografica. L’esperienza di narrazione di sé si rivela nella rivisitazione della personale vicenda di vita, per cui il soggetto autonarrantesi recupera in senso autobiografico la memoria su di sé e plurime memorie esistenziali che riattivano un metaforico viaggio nel passato da non intendersi come ripiegamento nostalgico e solipsistico inerente i tempi mitici delle oasi oniriche infantili. Le rivisitazioni autobiografiche, al contrario, riattualizzano il passato e lo rendono un bagaglio di ricordi attivi utilizzabili per agire meglio il presente ed il futuro, infatti durante il racconto il presente è interpretato e compreso dal ricercatore biografo alla luce delle tracce e delle trame dei ricordi passati. Le tracce e le trame intessute del racconto autobiografico sono frammenti di desideri, emozioni, esitazioni, parti esaltanti o squallide dell’esistenza, che aprono lo sguardo delle volute librantesi nel corso della narrazione alla riscoperta della progettualità futura

    Il disvelamento della narrazione

    L’autobiografia viene raccontata o scritta e dipanata nel rapporto conversazionale, ingenerando forme di riconoscimento, di autoapprendimento e autodisvelamento che permettono di costruire varie traiettorie di trame esistenziali, all’interno di un’alleanza con il narratore che aiuti a stabilire nessi ed interconnessioni tra gli indizi, gli eventi o i fatti descritti, con legami, interconnessioni che svelano il significato al disegno della trama esistenziale, di ricomponibilità interpretativa.
    L’apertura conoscitiva e trasformativa lenta e impercettibile è implicata nel gioco narrativo che ingenera potenzialità di rappresentazione, comprensione e risignificazione di eventi, contesti e relazioni all’interno dell’interazione dialogica tra ascoltatore/ricercatore e narratore/soggetto che condivide tempi e spazi dell’ascolto collaborativo, quale risorsa apprenditiva, nell’ambito della quale si realizza la possibilità per il soggetto di intrattenersi con se stesso, di ascoltare il mondo interiore, di raccontarsi nelle apicalità dell’incontro dialogico. Il soggetto di una storia di vita incompiuta, riscrivibile e reinterpretabile a partire dagli eventi, dagli incontri e dagli episodi della personale esistenza, nel racconto può accingersi al recupero, al ritrovamento di tratti, tracce, trame, segmenti salienti, continua apicali, momenti cruciali e di svolta della storia di vita narrata, individuando le figure significative, la ricomposizione e l’identificazione di momenti, incontri nella molteplicità di biografie che abitano interiormente ogni soggetto narrante, in molteplici interconnessioni. Gli intrecci delle biografie affettive, cognitive, professionali e desideriali, con l’esperienza del racconto e dell’ascolto producono conoscenza ed effetti trasformativi che suppliscono al problema dell’attribuzione di senso e significato alla trama narrativa, nel problema del senso di una vita sotto il tessuto del discorso biografico e con esso la ricerca di significatività nel passato, il nesso tra la continuità e la discontinuità delle biografie interne che hanno conosciuto momenti di vitalità, pause e arresti.
    La significatività pedagogica volta al ripensamento autobiografico avviene sia tramite l’ascolto monologico che l’ascolto dialogico, dinamiche relazionali che ingenerano nel soggetto apprendimento, a partire da se stesso come narratore e rievocatore da eventi di ricordi e apprendimento rimotivazionale, per il cambiamento, per la relazione. Nell’ambito del contesto narrativo del racconto, il soggetto riconsidera sé stesso, le esperienze implicite, il proprio percorso formativo, professionale e i grandi temi vitali con cui è stimolato a formulare considerazioni e riflessioni critiche autoreferenziali, al fine di far emergere la personale rappresentazione mentale della complessità di eventi, di significazioni, di situazioni nelle consuetudini del pensiero, di scelte e soluzioni, in un’elaborazione differita del contesto narrativo in trasformazioni cognitive ed operative. Nel racconto di sé si scompone e ricompone la propria storia, attribuendole voce tramite la narrazione evocativa, nella declinazione rimemorativa, a ritroso, di esigenze personali e formative, desideri, vocazioni e propensioni nella revisione di progetti di rimotivazione personale e professionale.
    L’incontro dialogico matura una nuova rappresentazione di sé, di ulteriori forme d’agire, di pensabilità, investimenti emotivi e stili relazionali, nel tempo della potenzialità, dell’ipotesi metabletica, dell’autoriflessività e trasformatività, nell’ascolto che offre la disponibilità decentrativa, alla problematizzazione e alla riconsiderazione critica di sé, di situazioni, scelte e responsabilità, riacquisendo capacità di autoascolto, autoanalisi, autocomprensione e autoapprendimento.

    L’approccio qualitativo.

    Il metodo autobiografico prevede delle tipologie di tecniche ricognitive: l’intervista aperta semistrutturata, non direttiva e in profondità, quali strumenti di ricognizione di vissuti motivazionali, cognitivi ed emotivi nella singolarità e unicità di ogni individuo, nel lavoro di scavo interiore e di autoriflessione, ricco di suggestioni e implicazioni autoformative. Le scansioni temporali ed emotive del raccontarsi del soggetto con il ricercatore, rivelano un rapporto comunicativo asimmetrico tra chi ascolta ed accoglie il racconto autobiografico e il narratore, per cui tale asimmetria si può mitigare facendo propri atteggiamenti interpersonali, atti e comportamenti comunicativi specifici. All’interno dell’interazione narrativa non è intenzione del biografo incasellare la storia di vita in una griglia già predisposta, ma riproporre suggestioni, stimoli generici, interazioni feconde, focalizzando la rivisitazione e ricostruzione narrativa. Nel percorso di ricomposizione e di esplorazione interpretativa, le soste del proprio racconto evidenziano aspetti diurni, ossia espliciti, di superficie, socializzabili, oppure notturni, vale a dire liminali, impliciti, onirici, che organizzano il tempo della narrazione secondo un filo cronologico di associazioni di idee e situazioni.

    Le modalità d’ascolto.

    L’accorgimento comunicativo nell’esercizio dell’ascolto e la rivisitazione delle vicende esistenziali, con la disponibilità a condividere parti di riflessioni autoformative e rivitalizzanti, pongono le premesse per una modalità di ascolto partecipativa ed attenta nel corso della quale sono comprensibili motivi di imbarazzo e diffidenza. La disposizione dell’intervistatore quale scoperta e curiosità stimola l’ascolto-racconto all’interno del setting autobiografico, nel sé autoapprenditivo e trasformativo. Le caratteristiche di un ascolto attento e attivo nel desiderio di comprensione degli atteggiamenti relativi al codice della comunicazione non verbale, ingenerano un processo di autoapprendimento trasformativo. L’universo di credenze, di valori, di miti personali, rivela la rappresentazione e la valutazione di eventi, incontri e scelte che costellano la storia di vita personale accettata e riconosciuta in sentimenti e reazioni di fastidio o disaccordo, che la soggettività esplicita in modo diretto attraverso i gesti, le posizioni discordanti dell’ascolto autentico. L’intervistatore non si confonde simbioticamente con la persona che si pone in autoosservazione e in atteggiamenti di riflessione di modi di pensare estereotipi, con un’attenzione autoreferenziale attenta a pensieri, sentimenti ed emozioni che aprono alla decentrazione e all’accettazione di ogni narrazione di cui non interessa la verità oggettiva, ma la significatività della narrazione.
    LAURA TUSSI
    Bibliografia

    AA.VV. (1995) Il lavoro di strada, Edizioni gruppo Abele, Torino
    Bertolini P. (1998) L’esistere pedagogico, La Nuova Italia, Firenze
    Bertolini P., Caronia L. (1993) Ragazzi difficili. Pedagogia interpretativa e linee d’intervento, La Nuova Italia, Firenze
    Bruner J.S. (1992) La ricerca del significato per una psicologia culturale, Bollati Boringhieri, Torino
    Demetrio D. (1990) Educatori di Professione, La Nuova Italia, Firenze

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