2008

Protestantesimo e differenza sessuale: storia di un incontro

Maria Paola Fiorensoli
Luce Irigaray la definì “forse l’unica grande rivoluzione riuscita del Novecento”. Parlava del percorso di movimenti femministi che avevano introdotto il pensiero della differenza e allargato lo sguardo a tutte le componenti e le variabili dei vissuti, ripensando il mondo.

Che cosa succede quando il pensiero della differenza incontra un percorso di fede, si è chiesto un gruppo di donne diverse per età, lavoro, formazione professionale e inserimento nelle chiese, gravitante intorno alle Valle Valdesi? Dopo un lungo confronto e scavo, nel partire da sé, Sabina Baral, Ines Pontet, Giovanna Ribet, Toti Rochat, Francesca Spano, Federica Tourn e Graziella Tron, hanno pubblicato La parola e le pratiche. Donne protestanti e femminismi, aggiungendovi le riflessioni di Franca Long “sull’altra metà del cielo”, di Daniela Di Carlo sul pastorato femminile, di Bruna Peyrot sui linguaggi di confine (memoria e identità tra storia e letteratura) e altre. Nelle sue tre parti (Da dove veniamo; pensiero della differenza sessuale e ricerca teologica; storia e genealogia), e nella postfazione dedicata alla nascita del libro, le curatrici “esplorano il territorio dei padri per incontrare l’ombra delle madri”, recuperando “la complessità delle vite umane”, “le parole della riscossa del movimento delle donne” ed esperienze di un passato vicino e lontano.

Il rimando al Museo della donna del Serre (Val d’Angrogna, Torino), aperto, nel 1990, dall’Unione femminile valdese locale dopo una significativa ricerca sulla propria genealogia femminile valdese e protestante, fa emergere maestre, balie, diaconesse, istitutrici, emigrate, missionarie, operaie, contadine attraverso oggetti, diari, lettere, fotografie. Più lontano l’incontro con le valdesi medievali; più recente quello con le suffragiste.

L’ampio spazio dedicato “alle portatrici del femminismo dell’uguaglianza e del pensiero della differenza”, nel secondo dopoguerra, offre un percorso critico e autocritico, che nomina le contiguità e le divergenze con le donne della Libreria di Milano e della Comunità filosofica di Diotima, di Verona, cui è tributato “un debito di pensiero” per il forte senso di liberazione per le donne; la distinzione tra autorità e potere; il carattere politico fondamentale della relazione tra donne che permette di superare l’amicalità selettiva e appartenere al genere che annulla le differenze.

Forti della ricchezza ermeneutica del partire da sé, le curatrici analizzano, con “riconoscenza critica” le “resistenze interiori” all’origine delle divergenze con il pensiero della differenza, attraversando la tradizione protestante per rintracciarne le cause: diversità delle rispettive formazioni teologiche; diffidenza verso l’affidamento in generale per la fortissima valorizzazione della libertà di coscienza individuale; polemica antiritualistica; difficoltà, di chi è portatrice di una lunga tradizione, d’accettare le scoperte del discorso sull’ordine simbolico; timore di confondere la dimensione simbolica con quella dell’immaginario; esperienza storica di comunità perseguitata e poi tollerata che spinge a privilegiare il concetto di responsabilità e osteggiare l’estraniazione.

Ribet G., Rochat T., Spano F., Tourn F, Tron G.
La parola e le pratiche. Donne protestanti e femminismi.
Torino: Claudiana, 2007; Isbn 978-88-7016-705-4.

Il paese delle donne, 13 febbraio 2008

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Miracoli

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Come i romanzi e i racconti di Gian Ruggero Manzoni, insieme ad una carica ironica e provocatoria, presentano un sottofondo poetico e visionario e i suoi testi poetici evocano situazioni narrative, così le opere di pittura sono brani visivi che raccontano vicende e storie, senza mai risolversi nell’episodio aneddotico
Exibart.com

Spazionove, in collaborazione con ASCOM ARTE Lugo vi invita all’inaugurazione della mostra “Miracoli” di Gian Ruggero Manzoni.
L’inaugurazione si terrà domenica 24 febbraio 2008 alle ore 17 nella sede del Palazzo del Commercio – Sala Lino Longhi a Lugo, Via Acquacalda 29.
La mostra proseguirà fino al 16 marzo 2008, con orari:
martedì e giovedì 15.00 – 18.00
sabato e festivi 15.00 – 19.00

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L’urlo ora s’è disperso

di Vincenzo Andraous

A 14 anni non si pensa al carcere, ti ci trovi “dentro” improvvisamente e ne sei respirato e concluso. Sì, ti ci trovi dentro ed é davvero troppo tardi. L’età più bella improvvisamente devastata nell’incontro affascinante e frontale con il mito della trasgressione.
Io me lo ricordo bene, ero impegnatissimo a fare vedere alle Autorià di essere un duro, e quando mi stavano portando nel “mio” primo carcere dei minorenni ho pensato ” ecco sto per iniziare finalmente”.
E’ tutto accaduto in una vita precedente? No, é stato ieri.
Quando vago con la mente tra questi fotogrammi impolverati e ingialliti dal tempo, rivedo la mia immagine scomposta e inquieta, mentre i pensieri mi cadono addosso e raccoglierne i cocci è un’ardua impresa.
Gli anni sono trascorsi, uno dopo l’altro, passo dopo passo, uno scarpone chiodato dopo l’altro, fino a giungere a ‘quell’urlo” che ha squarciato la notte.
Qull’urlo che ho tenuto compresso in me, sorvegliato a vista dalla mia incredulità, contenuto nei miei tormenti, divenuto un dono prezioso da custodire.
Svegliarmi nel buio, nel mezzo di una tempesta silenziosa, e due occhi bellissimi scrutarmi, scuotermi. Due occhi lucidi e profondi come l’anima che traspare al di là della coscienza, della ragione che indaga e accusa. Con le mani fredde ed il cuore in gola, il respiro che non esce, il dolore nei polmoni salire alla gola e fare fatica a respirare.
Affannosa ricerca di boccate d’aria mute, imprigionate, incatenate in attimi intensi di vuoto e di pieno, di vita sospesa.
Due occhi come lune inchiodate, un volto che non conosco, ma che sento tutt’intorno.
Due occhi che piangono, rimangono aperti e si distendono verso di me.
Nel silenzio di pietra della cella, I’urlo fuoriesce e taglia di netto il sentiero praticato a occhi bendati, sgretola le abitudini consolidate, i sussurri che impongono i piedistalli e le parole a paravento che non stanno scritte da nessuna parte.
L’urlo esce, assorda, mi discosta e cancella la mia cella, le altre celle, i muri e gli steccati.
L’urlo si espande, rimbalza, si piega, prosegue e non smette la sua corsa, neppure quando sono caduto in ginocchio, spossato, svuotato di me stesso.
Quegli occhi sono sempre lì, velati di pianto, addolciti da un sorriso leggero, come a voler ridurre la distanza siderale che mi separa da questo reale intorno.
Occhi grandi, lucenti, lacrime che parlano di una tristezza felice, di una gioia che non conosco e invece vorrei avvicinare, occhi che rimangono a osservare la mia sorpresa, la mia fragilità.
Occhi bellissimi vestiti di speranza, sguardi che consentono di ricostruire e ritrovare l’uomo, sebbene nella fallibilità umana.
Quella notte sono rimasto in ginocchio tanto tempo, in una sorta di terra di nessuno, sbattendo il viso contro una specie di cortina fatta di barriere materiali e psicologiche, costretto fors’anche dalla mia ostinazione a vivere del mio, in una tragedia che non ha fine, con un passato che assomiglia ad una sera senza luce dove non si può leggere, solo ricordare.
L’urlo ora s’é disperso, quegli occhi tanto amati sono svaniti.
I giorni, e gli anni si inseguono testardi, mi adagio sul futuro che per me é già oggi, in un presente contenuto nel passato, poiché ogni volta che si progetta qualcosa si modifica e si rilegge il proprio passato con occhi e sguardi  nuovi.

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Presidenziali USA: gli sfidanti democratici e la pena di morte

di Rico Guillermo
I tre candidati democratici alle primarie per la presidenza USA sono favorevoli alla pena di morte, un argomento difficile da trattare soprattutto negli Stati del sud, dove i bianchi sono per lo piu’ sostenitori della pena capitale e i neri ne sono per lo piu’ vittime.

Mentre il 12% degli abitanti degli Stati Uniti sono afro-americani, infatti, oltre il 40% della popolazione nel braccio della morte e’ nera. Sebbene poi neri e bianchi siano vittime di omicidio in quasi ugual quantita’, l’80% dei detenuti giustiziati dal momento che la pena di morte e’ stata reintrodotta erano stati condannati per un omicidio in cui la vittima era bianca. Vari studi effettuati negli Stati Uniti hanno poi evidenziato pregiudizi razziali in ogni fase del procedimento di pena capitale. Uno di essi ha rilevato che piu’ l’imputato e’ percepito aderente alle stereotipo del nero, piu’ e’ probabile che sia condannato a morte. A ciò si aggiunga il fatto che oltre il 20% dei neri accusati che sono stati giustiziati erano stati condannati da giurie tutte bianche.

Insomma, nessun progresso dai tempi de “Il buio oltre la siepe”, il film degli anni ’60 (ma ambientato nel 1932) in cui un Gregory Peck da Oscar porto’ all’attenzione nazionale e mondiale il problema dei preconcetti razziali in tribunale (anche li’, peraltro, la giuria che condannava un nero innocente accusato di stupro era di tutti bianchi). E’ quindi impossibile ignorare il fattore razziale nella realta’ odierna della pena di morte, mentre se ne parla poco o punto nella campagna democratica.

I tre sfidanti democratici hanno toccato qualche volta il tema della giustizia penale razzista. In un dibattito, Barack Obama ha riconosciuto come “qualcosa di cui dobbiamo parlare” il fatto che “afroamericani e bianchi… vengono arrestati con tassi molto diversi, vengono condannati a tassi molto diversi, ricevono pene molto diverse”. Hillary Rodham Clinton, in tema di giustizia penale, ha dichiarato di volere “una profonda revisione di tutte le sanzioni”, mentre John Edwards ha detto “Come persona cresciuta nel Sud segregazionista, sento una responsabilita’ speciale a parlare della intolleranza razziale”.

Eppure nessuno dei tre leader democratici ha posto come punto centrale del suo programma la giustizia penale, e tantomeno la pena capitale. E questo perche’ Clinton, Obama ed Edwards sostengono tutti la pena capitale, anche se non lo dichiarano durante i discorsi della campagna per le primarie.

Quando era in corsa per il senato, Obama ha spiegato che “ci sono crimini straordinariamente odiosi – terrorismo, abuso di bambini”, in cui la pena di morte “può essere opportuna”. Anche di recente ha detto di ritenere che sia importante preservare l’opportunita’ di una sanzione estrema in determinate circostanze. Per il candidato nero si tratta quindi di “un male necessario”, anche se i suoi sostenitori lo presentano come un oppositore della pena di morte. Sostanzialmente sulla stessa lunghezza d’onda Edwards, che riconosce i pregiudizi razziali in tribunale, il problema delle condanne errate e la disparita’ di rappresentanza legale, ma difende la propria posizione a favore della pena di morte.

Hillary ha evitato piu’ degli altri due il discorso della pena capitale nella sua campagna, limitandosi a parlare genericamente di “riforme”. Anche se nel 2003, ha cosponsorizzato la legge per la protezione degli innocenti, per rendere disponibile il test del DNA per i condannati a morte nei tribunali federali, aveva contribuito a limitare i ricorsi braccio della morte negli anni ’90. L’amministrazione di Bill Clinton porto’ infatti ad un enorme incremento della pena di morte federale, grazie alla ‘legge penale’, nonche’ ad una forte riduzione dei ricorsi nel braccio della morte, grazie alla legge per la lotta al terrorismo e per l’efficacia della pena di morte. Infatti fra il 1996 e il 1999 le esecuzioni piu’ che raddoppiarono.

Per fortuna le decisioni della Corte Suprema che vietavano l’esecuzione dei ritardati mentali e dei minorenni all’epoca dei fatti, nonche’ la rivoluzione delle prove introdotta grazie al test del DNA, hanno ridotto le esecuzioni ed evidenziato i limiti morali e gli errori giudiziari correlati alla pena di morte, inducendo un ripensamento in intellettuali, politici ed opinione pubblica tale da portare l’abolizione legale o di fatto della pena capitale in alcuni Stati.

Nessun merito va pero’ riconosciuto alla politica dei Democratici, i cui leader mantengono la stessa posizione pro pena di morte quasi ininterrottamente da circa vent’anni. Ed invece proprio questa campagna elettorale potrebbe essere l’occasione per marcare la differenza dai Repubblicani su un tema che rappresenta un cardine del conservatorismo e nella retorica di questi ultimi.

* si ringrazia Claudio Giusti

Osservatorio sulla legalita’, 29 gennaio 2008

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La stupidità della critica

di Giancarlo Livraghi

gennaio 2008

Testo disponibile anche in formato pdf sul sito dell’autore

Il potere della stupidità è così insidioso che si può manifestare anche quando si tenta di correggerlo (o si crede di approfittare della stupidità altrui). Vedi Il circolo vizioso della stupidità. Uno degli aspetti di questo problema è che la critica può essere ancora più stupida delle stupidaggini che vuole criticare. È un fatto evidente nei dibattiti politici (e politologici) e nei conflitti ideologici o di interessi, ma è ricorrente anche in molte altre circostanze.

La critica è importante, è necessaria, è una condizione indispensabile di libertà e di sviluppo della conoscenza. Ognuno ha il diritto di criticare come vuole. Chi è criticato ha il dovere di ascoltare, capire, imparare. Se ha sbagliato, ha un’occasione per correggersi. Se dice o fa cose che considera giuste, ma non sono capite, ha uno stimolo a cercare di spiegarsi meglio.

Chi si considera immune da ogni critica, o “superiore” a chiunque “si permette” di non essere d’accordo, non è solo arrogante. È anche stupido.

Essere criticati non è una sofferenza, né un segnale di debolezza. Se tutti sembrano essere d’accordo con ciò che facciamo o diciamo, abbiamo motivo di preoccuparci. O siamo così banali da trovare un facile consenso, o stiamo ascoltando solo chi ci è favorevole (oppure, per uno di tanti possibili motivi, non ha voglia di esprimere le sue opinioni).

Anche quando non ci sono critiche esterne, o non sono interessanti, è sempre importante l’autocritica. Uno degli esercizi fondamentali per tenere in funzione la mente è mettere continuamente alla prova le nostre convinzioni e opinioni, le cose che “crediamo di sapere” ma potremmo capire meglio.

Perciò la critica è sempre intelligente, utile, educativa? Purtroppo no. Leggiamo e ascoltiamo molte critiche, su ogni sorta di argomenti, che non solo non ci aiutano a capire, ma confondono anche cose che sarebbero chiare se qualcuno non si dedicasse all’arte perversa di renderle meno comprensibili.

È ovviamente stupida, deviante (e, a gioco lungo, autolesionista) la critica “di parte”. Dettata dallo schieramento politico, dalla “tifoseria“, dall’orientamento culturale, dai campanilismi o nazionalismi o parrocchialismi e da un’infinità di altri pregiudizi. (Vedi La stupidità del “fondamentalismo”). Dopo aver sentito dire mille volte che i bizzirri hanno sempre ragione e i bizzorri hanno sempre torto – e viceversa – alla fine la deduzione più ragionevole è che gli uni e gli altri non sanno di che cosa stanno parlando.

Questa è la più evidente stupidità della critica – ma non è l’unica. Ci sono gli errori di prospettiva. Se qualcuno ha sbagliato perché ha un punto di vista ristretto o deviante, può essere molto utile una critica che collochi il ragionamento in un quadro più significativo. Ma accade, troppo spesso, che la critica sia altrettanto deviata e deviante – e tutto si riduca a una polemica insensata.

C’è il pregiudizio. Chi critica si basa sui suoi preconcetti anziché cercare di capire. Spesso si tratta di interessi personali o di categoria, che è legittimo difendere (se lo si fa in modo esplicito e dichiarato) ma si traducono facilmente in deformazioni arbitrarie che servono solo a confondere l’argomento. Ma ci sono deviazioni altrettanto pericolose che non derivano da un’intenzionale posizione pro domo sua. Ignoranza, superficialità, luoghi comuni, frettolosi malintesi, errori di comprensione, possono spesso indurre a criticare prima di aver capito.

La critica, naturalmente, non è sempre negativa. Il compito di un critico è anche “dire bene” di ciò che considera apprezzabile. Ma l’elogio può essere stupido quanto il dissenso. È meglio essere criticati per buoni motivi che ricevere lodi immeritate.

La satira, l’umorismo, l’ironia non sono solo divertenti, sono anche risorse dell’intelligenza e della conoscenza. Ma c’è troppa comicità banale, pretestuosa, inconcludente. Se il signor X dice cose che ci sembrano sbagliate a proposito di un qualsiasi argomento, vediamo di criticarlo, o anche di prenderlo garbatamente in giro, per le sue opinioni. Ma è irrilevante (e serve solo a confonderci le idee) soffermarci sul fatto che ha il naso storto o che a sua zia non è riuscito bene il sufflé.

L’autoctitica e l’autoironia sono risorse importanti. Ma possiamo sbagliare anche nel vautare le nostre idee e i nostri errori. Essere troppo teneri, badando solo alle scicchezze meno preoccupanti. O troppo ansiosi, considerando imperdonabili gli sbagli e le distrazioni che sono esperienza quotidiana di ogni essere umano. Un punto di vista esterno può aiutarci a capire meglio. Come l’opinione di una persona davvero amica, e perciò sincera – o le incomprensioni che ci inducono a chiederci se ci sappiamo spiegare bene.

L’arroganza merita di essere criticata e derisa. Ma quanti critici sono arroganti quanto o più delle persone, idee e comportamenti con cui non sono d’accordo?

Non si tratta di umiltà. A parte il fatto che molti si atteggiano a “umili” mentre non lo sono, è meglio avere il coraggio delle proprie opinioni, dire con chiarezza ciò che si pensa, specialmente quando si hanno le basi per conoscere bene l’argomento. Ma quanto spesso ci capita di ostinarci invece di ascoltare?

Insomma essere coscienti della stupidità altrui non è un buon motivo per lasciar crescere la nostra. Non si finisce mai di imparare. Quando sentiamo o leggiamo un’affermazione stupida, proviamo a chiederci come è nata quella stupidità e se possiamo imparare qualcosa dalla sua origine. Se qualcuno critica ciò che ci sembra criticabile, non per questo dobbiamo credere che abbia “sempre ragione”, né che sia da condividere il modo (e il motivo) del suo atteggiamento.

Le “conversazioni da bar sport” possono divertire, o fare arrabbiare, i tifosi. Ma non aumentano di un milligrammo la capacità di capire. E ovviamente questo non accade solo nel gioco del calcio o in altre vicende agonistiche, ma su ogni sorta di argomenti.

La critica non ha l’obbligo di essere “obiettiva”. È inevitabile, e può essere utile, che ci siano atteggiamenti e posizioni diverse. Ma cerchiamo di ricordarci che nessuno è mai “onnisciente” e che un granello di conoscenza, o l’utile nascita di un dubbio, possono venire anche da opinioni o affermazioni che, a prima vista, ci sembrano completamente stupide.

Quando avrò finito di scrivere queste righe, andrò a leggere i giornali di oggi. So che ci troverò, come sempre, un mare di banalità, di disquisizioni su cose che non mi interessano, di statistiche sballate, di balordaggini su argomenti che conosco meglio di chi ha scritto un certo articolo, di stupidaggini e superficialità, di commenti che mi sembrano sbagliati, confusi o incomprensibili. Ma dovrò stare attento (come cerco, per quanto possibile, di fare tutti i giorni) perché in una delle tante pagine potrebbe esserci qualcosa di meno ovvio, che mi aiuta a capire.

La stupidità è imperversante, la “disinformazione” e la superficialità sono impressionanti. Ma è altrettanto stupido criticare prima di esserci chiesti se ci può essere qualcosa di sbagliato nelle nostre opinioni o in ciò che crediamo di sapere.

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