2008

Bulow

Ravenna, 23/01/2008

Oggi pomeriggio passavo per la Piazza del Popolo e mi sono ritrovata a salire le scale del Municipio, per rendere omaggio alla salma di Arrigo Boldrini . Mi sono sentita di farlo, non per un formale tributo di cittadina classe 1945 (l’annata della liberazione, l’annata della pace generosa di nascite!), ma quasi per il bisogno di trarre, attraverso la sua morte, attraverso la memoria storica, una rinnovata fiducia nella possibilità di una rigenerazione della classe politica italiana, in giorni in cui la nostra Repubblica scivola sempre di più verso uno stato di degrado che ci avvilisce e ci addolora.

Ma mi ha guidato all’ultimo saluto anche una sorta di legame affettivo, che negli ultimi anni avevo avuto modo di abbozzare. Avevo incontrato “il grande Italiano” nel corso delle ultime estati a Marina Romea, presso la Residenza per anziani Betania, dove mia madre, classe 1916, trascorreva i due mesi di villeggiatura. Il grande Bulow, mia madre e qualche altro/a coetaneo/a passavano ore ed ore a giocare a carte, scambiando qualche battuta, qualche ricordo. Mia madre, alle prime partite, mi diceva di sentirsi imbarazzata per l’onore di sedersi al tavolo “con Bulow !”, ma via via era stata conquistata dalla sua gentilezza (al termine dei “tornei”, baciava le mani alle signore e ringraziava) e aveva persino trovato il coraggio di raccontargli che sua figlia, io, aveva scritto un piccolo libro proprio sull’ Isola degli spinaroni, che lui doveva ben conoscere!

Mia madre è morta un anno fa, in pochi giorni, e a consolare il mio dolore è stata la considerazione che non poteva esserci morte più discreta e dignitosa, mentre mi aveva rattristato molto nelle ultime due, tre estati, constatare che il “grande Bulow” stava incominciando a combattere una nuova battaglia. Così, quando compì i novantanni e io lessi sulla stampa i tanti messaggi di auguri delle Autorità, mi venne spontaneo scrivere il mio sentimento.

Non so bene perché, ma mi sento di comunicarlo anche ad altri.

Ai novantanni di Bulow

Per una briscola pacata e assente, le diafane, esili mani del grande vecchio rimescolano carte sul tavolo.

Governava allora altre carte, con mani ferme e tenaci. Tracciava le mosse di una buia partita, con lucido disegno.

Ora, sul viso abbassato, un mite sorriso affiora smarrito dal silenzio di ore. Incerti i suoi passi, guidati dai passi di un altro.

Il lampo fiero dei vigili occhi penetrava la soglia dei canneti di valle, le nebbie melmose della pianura. La sua parola, un’azione compiuta.

Implacabile il contrattacco del tempo. Alla resa dei novantanni un fragile vigore, un fioco torpore di pensieri, il bandolo imbrogliato dei ricordi.

Caro Arrigo… Grazie Arrigo… La città onora il Comandante, che ora combatte per la sua dignità.

una cittadina

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Stratagemmi e il Gerolamo

Quando la città dimentica il teatro
Palazzo Marino, Sala delle Tempere
martedì 22 gennaio 2008
ore 18.30
Stratagemmi, in occasione dell’uscita del quarto numero della rivista, contenente un’ampia sezione monografica sul Teatro Gerolamo di Milano, presenta martedì 22 gennaio alle ore 18.30, presso la Sala delle Tempere di Palazzo Marino, un incontro-dibattito dal titolo “Stratagemmi e il Gerolamo. Quando la città dimentica il teatro”.
Il Teatro Gerolamo è un’istituzione della cultura milanese, il fiore all’occhiello degli stabili marionettistici in Italia e in Europa, una “bomboniera” da 200 posti che fu culla del cabaret, del teatro canzone e del teatro dialettale milanese. Fra gli altri, ha visto passare sul suo palcoscenico Dario Fo, Franca Valeri, Ornella Vanoni, Enzo Jannacci e Paolo Poli.
Dal 1983 il Teatro è chiuso. Servivano alcuni banali lavori di ristrutturazione, ma da allora il portone è sigillato e la struttura in decadenza. Parlare del Teatro Gerolamo dunque vuol dire riaprire un dibattito cominciato 25 anni fa e in grado di coinvolgere, ieri come oggi, l’amministrazione pubblica, i privati, gli spettatori e gli stessi artisti. Vuol dire discutere di cultura, di amministrazione della cultura e di spazi ad essa riservati. Vuol dire riaprire porte, fuor di metafora, che troppo spesso rimangono chiuse e destinate a cadere nella dimenticanza comune.
Se, come sosteneva Jürgen Habermas, lo spazio pubblico è quello, per sua genesi e conformazione, destinato al sorgere, maturare e scontrarsi delle opinioni che cementano e rendono migliori la società, con questo appuntamento a Palazzo Marino la redazione di Stratagemmi vuole proporre una riflessione che, partendo dal Gerolamo e dalla sua storia, offra uno spunto, quanto mai pertinente, per analizzare il rapporto tra la città e il teatro oggi. Un’interazione non sempre evidente e immediata, che merita di essere indagata ancora una volta.
Stratagemmi è una rivista trimestrale di studi sul teatro, nata nel marzo 2007, edita da Pontremoli. La redazione è composta da quattro giovani studiose che si occupano del teatro in tutte le sue forme, a cominciare dalla ricerca e dall’approfondimento in campo accademico fino all’attualità, protagonista della sezione Taccuino: spunti e provocazioni per comprendere e analizzare il teatro e la società.
Il teatro nelle pagine di Stratagemmi non è solo ricerca filologica della rappresentazione classica e moderna, ma anche archeologia e architettura dei luoghi adibiti alla scena, attenzione agli spazi dedicati al teatro e al loro rapporto con la città. Per ulteriori informazioni, visitate il sito www.stratagemmi.it

www.stratagemmi.it e-mail: redazione@stratagemmi.itabbonamenti@stratagemmi.it
Pontremoli editore, via Vigevano 15 – 20144 Milano tel. 0258103806 – fax 0258102157

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Hanno vinto, ancora una volta

di Ghismunda

[…]

Per onestà e franchezza, devo subito dire che se invece di insegnare nella scuola dove insegno, avessi insegnato alla Sapienza, avrei unito la mia umile firma a quella dei sessantasette docenti (tra essi tutti i più noti fisici dell’Ateneo), che si sono opposti al fatto che fosse il Pontefice ad inaugurare l’Anno Accademico della più grande Università pubblica d’Europa. Non ho timore di apparire né intollerante né una “talebana” del laicismo, secondo uno degli epiteti più colorati di queste ore. Si può benissimo invitare un Papa, come un qualsiasi altro intellettuale e studioso di fama mondiale, a tenere una lectio magistralis all’Università. Ma farlo per l’inaugurazione dell’anno accademico è fonte (voluta) di ambiguità, perché avrebbe inevitabilmente fatto di quella lezione un programma e un indirizzo per l’intero anno accademico. Cosa evidentemente inaccettabile “in primo luogo perché le università, per lo meno quelle pubbliche – scrive il prof. Marcello Cini, uno dei firmatari – sono, negli stati non confessionali, una comunità di studiosi, docenti e discenti, di tutte le discipline universalmente riconosciute, di tutte le scuole di pensiero, di tutte le culture e gli orientamenti politici e religiosi, scelti dai loro pari per i loro contributi scientifici e culturali. Nessuno di loro può però accettare che qualcuno, per quanto vanti investiture dall’Alto, possa loro prescrivere cosa debbano o possano dire, fare o pensare. Ognuno ha la propria coscienza e la propria deontologia professionale. In particolare possiamo tollerare che il papa possa dire ai nostri colleghi biologi che non devono prendere sul serio Darwin? Oppure ai nostri colleghi filosofi che è «inammissibile» – parole del professor Ratzinger a Ratisbona – «rifiutarsi di ascoltare le tradizioni della fede cristiana»?”

Ma c’è di più. Il Papa, come sappiamo e come non può essere altrimenti, si proclama depositario di una Verità assoluta che, in quanto tale, non può costituzionalmente, intrinsecamente ammettere dialogo. Si stanno capolvogendo i termini della questione e delle responsabilità: chi è veramente incapace di dialogo? Ogni di-alogo si fa in due, su un piano di parità culturale, ma si può logicamente dialogare con chi ritiene di possedere la Verità? Un dia-logo, che voglia essere veramente tale e non finto, deve presupporre scambi e modifiche reciproche sul piano delle conoscenze come dei comportamenti. Ma può un dogmatismo, quale quello religioso nella fattispecie, per sua natura fatto di ammissioni indimostrabili, credute per fede e derivate da un’autorità esterna indiscutibile, modificare se stesso? La verità, nelle Università che ne sono la sede deputata costituzionalmente alla sua ricerca, è necessariamente plurale, frammentaria, parziale, faticosa nel suo cammino e nella sua conquista: come la si può cercare con chi dice di averla già? La Verità assoluta può entrare nelle chiese, non nelle aule di una università. Può essere solo ascoltata, non dia-logata; può, tutt’al più, articolarsi nelle facoltà di teologia, non in un pubblico Ateneo. E’ una questione di competenze e di distinzione, di ambiti separati, non necessariamente ostili, ma nemmeno strumentalmente confusi.

L’occasione per riflettere filosoficamente sulla natura del dialogo ed in particolare sull’effettiva possibilità e sincerità di quello tra credenti e non credenti, mi è stata data da un articolo, per me profondissimo e illuminante, pubblicato da Zagrebelsky circa un anno fa sulle pagine di Repubblica. Ne riporto degli stralci: “Il dialogo, anche quello così frequentemente auspicato tra i cattolici e gli altri (che si indicano, in negativo, come i non-cattolici), presuppone una condizione: che le parti si riconoscano pari, in razionalità e moralità. Se si parte dal presupposto che l´altro non è solo uno che pensa diversamente, ma è uno da meno o, addirittura, è un mentecatto o un immorale, il dialogo sarà perfettamente inutile; sarà tempo perduto, adescamento o simulazione. Dove vige questo pregiudizio, ci si ignora o ci si combatte. Si potrà anche fare finta di dialogare, come lo stratega che procrastina lo scontro e rafforza intanto le posizioni. Ma dialogare onestamente, no, non si potrà. Il maestro del dialogo è quel Socrate che giungeva perfino a gioire di soccombere nella discussione (chi è colto in errore, si libera di un male e quindi riceve un bene). Ma non occorre essere Socrate per comprendere che se non c´è reciproca disponibilità e apertura, tanto vale andarsene ognuno per la sua strada, sempre che non si voglia prendere a bastonate. Onde, se sinceramente si dice: “Il dialogo, così necessario, tra laici e cattolici” (J. Ratzinger, L´Europa nella crisi delle culture, Il Regno – documenti, 9/2005), si dovrebbe supporre che questo riconoscimento di razionalità e moralità sia acquisito. Ma è così?… Il magistero cattolico segue scoscesi percorsi con l´intento di proporre un Dio avente natura razionale (logos) e sostenere che, nella concezione cristiano-cattolica attuale, fede e ragione coincidono. L´essere umano “di ragione” è tale perché è anche “di fede”, onde chi è senza o contro la fede, è anche senza o contro la ragione. Queste proposizioni rappresentano una svolta. Nella tradizione ebraico-cristiana (fino a poco fa la tradizione), Dio è potenza e amore; la nuova filogenesi greco-cristiana propone l´innesto del Cristianesimo nella concezione del Kosmos, quale ordine del mondo corrispondente alla ragione regolatrice sovrana. La “natura”, poiché nessuno può pretendere di alterarla, diventa “diritto naturale”; logos e nomos finiscono per coincidere. Proclamandosi custode dell´ordine natural-razionale, la Chiesa può proporsi come custode dell´ortodossia della ragione; non solo della ragione filosofica, come è stato per secoli, ma anche della ragione scientifica, cioè della ragione applicata alle scienze naturali. Gli uomini di Chiesa diventano scienziati; anzi, scienziati accreditati più di tutti gli altri, perché la loro “ragione” onnicomprensiva, che si abbevera alla scienza di Dio, la teologia, può vantare un´esclusiva garanzia di verità. Per qualche misterioso ricorso storico, riappare il volto del cardinale Bellarmino, con la sola differenza che oggi, invece d´invocare l´autorità delle Scritture contro Galileo, si invoca il logos divino. Su simili premesse, è chiaro che il dialogo onesto che si auspicava all´inizio è impossibile. L´interlocutore non cattolico, per la Chiesa, è uno che, in moralità e razionalità, vale poco o niente; è uno che le circostanze inducono a tollerare, ma di cui si farebbe volentieri a meno…”

E per questo, quindi, che rispedisco al mittente le accuse di intolleranza e chiusura. Ma i mittenti sono davvero tanti in queste ore in cui le anime belle della politica si stracciano trasversalmente e strumentalmente le vesti in nome della libertà conculcata, del dialogo negato, della tolleranza rinnegata. Gli esponenti della Curia vaticana hanno riportato un’importante vittoria politica: l’astuto rifiuto ad accogliere un invito già fatto e spedito è riuscito a trasformare la libertà di una protesta, e la richiesta di una sacrosanta distinzione, nella negazione di una libertà di parola, che fa del Pontefice un martire ed una vittima dell’intolleranza. Lui che, paradossalmente, parla sempre, tutti i giorni, a tutte le ore, in tutte le Tv. Hanno vinto, ancora una volta.

La voce di Ghismunda, 16 gennaio 2008

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Iran: morte per lapidazione, una pena grottesca e inaccettabile

Un rapporto di Amnesty lancia l’allarme per nove donne e due uomini

Nove donne e due uomini in Iran aspettano di essere uccisi a colpi di pietra: Amnesty International ha chiesto oggi alle autorita’ iraniane di abolire la morte per lapidazione e di imporre una moratoria immediata su questa orribile pratica, appositamente studiata per provocare la massima sofferenza nella vittima.

In un nuovo rapporto pubblicato oggi [15-01-08 n.d.r.], in inglese, l’organizzazione ha rivolto un appello urgente al governo iraniano chiedendo di modificare il codice penale del paese e, nel frattempo, assicurare il rispetto della moratoria sulla lapidazione imposta dal Capo dell’autorita’ giudiziaria nel 2002.
“Accogliamo con favore i recenti passi verso le riforme e la notizia che il parlamento sta esaminando emendamenti al codice penale che permetterebbero la sospensione di alcune condanne alla lapidazione nei casi in cui sia ritenuto opportuno – ha affermato Malcom Smart, Direttore del programma Medio Oriente e Nord Africa di Amnesty International.- Tuttavia, le autorita’ devono andare oltre e adottare le misure necessarie per assicurare che il nuovo codice penale non permetta la lapidazione ne’ contempli l’esecuzione per il reato di adulterio con altri metodi”.
Il codice penale iraniano prevede l’esecuzione tramite lapidazione.
Secondo l’articolo 102, gli uomini devono essere sotterrati fino alla vita, le donne fino al petto. Con riferimento al reato di adulterio, l’articolo 104 afferma che le pietre da usare dovrebbero essere ‘non cosi’ grandi da uccidere la persona con uno o due colpi, e nemmeno cosi’ piccole da non poter essere definite pietre’.

Il sistema giudiziario iraniano presenta gravi lacune che spesso sfociano in processi iniqui, anche nei casi di pena capitale. Nonostante la moratoria del 2002 e le smentite ufficiali sulle esecuzioni tramite questa pratica crudele, Amnesty International e’ venuta a conoscenza di alcuni casi di lapidazione.
Ja’far Kiani e’ stato lapidato il 5 luglio 2007 ad Aghche-kand, nella provincia di Qazvin. Era stato condannato a morte per aver commesso adulterio con Mokarrameh Ebrahimi, condannata alla lapidazione per lo stesso reato, dalla quale aveva avuto due figli.
La condanna e’ stata eseguita nonostante un ordine di sospensione dell’esecuzione e in spregio alla moratoria del 2002.
Si e’ trattato della prima lapidazione confermata in via ufficiale dopo la moratoria, sebbene esistano notizie sulla morte per lapidazione di un uomo e una donna a Mashhad, nel maggio del 2006. Si teme che Mokarrameh Ebrahimi possa subire la stessa sorte. La donna e’ rinchiusa nella prigione di Choubin, nella provincia di Qazvin, sembra con uno dei suoi figli.

Amnesty International e’ ugualmente preoccupata per otto donne e due uomini che rischiano la lapidazione e i cui casi sono evidenziati nel rapporto diffuso oggi.
Sono le donne a essere piu’ di frequente condannate a morire per lapidazione, spesso a causa del diverso trattamento che subiscono davanti alla legge e nei tribunali, in aperta violazione degli standard internazionali sul giusto processo. Sono in particolar modo vittime di processi iniqui perche’ meno istruite rispetto agli uomini e per questo motivo indotte piu’ facilmente a firmare confessioni di crimini mai commessi. Inoltre, la discriminazione cui vanno incontro in altri aspetti della loro vita fa si’ che siano piu’ soggette a condanne a morte per adulterio. Nonostante questa cupa realta’, ci sono fondate speranze che la morte per lapidazione venga completamente abolita in Iran.

Sforzi coraggiosi sono stati compiuti dai difensori iraniani dei diritti umani che, in seguito ai due casi del 2006, hanno lanciato la campagna ‘Stop alla lapidazione per sempre!’.
La loro azione ha contribuito a salvare quattro donne e un uomo: Esmailvand, Soghra Mola’i, Zahra Reza’i, Parisa A e suo marito Najaf. Inoltre, un’altra donna, Ashraf Kalhori, ha ottenuto una sospensione temporanea dell’esecuzione.

”Sollecitiamo le autorita’ iraniane a prestare attenzione alle nostre richieste e a quelle degli iraniani che si stanno battendo senza tregua per mettere fine a questa orrenda pratica”, ha dichiarato ancora Malcom Smart. Questi sforzi, pero’, hanno un prezzo elevato.
Gli attivisti per i diritti umani in Iran continuano a subire pressioni e intimidazioni da parte delle autorita’.
Asieh Amini, Shadi Sadr e Mahboubeh Abbasgholizadeh, esponenti di Stop alla lapidazione per sempre!, erano tra le 33 donne arrestate nella prima settimana di marzo 2007 a Teheran durante le proteste contro il processo di cinque attivisti per i diritti delle donne; 31 di esse sono state rilasciate il 9 marzo. Dieci giorni dopo, anche Mahboubeh Abbasgholizadeh e Shadi Sadr sono state rilasciate dietro il pagamento di 200 milioni di tuman (piu’ di 145.000,00 euro). E’ probabile che le due donne verranno processate con accuse quali ‘disturbo dell’ordine pubblico’ e ‘atti contro la sicurezza dello Stato’.

I difensori dei diritti umani in Iran ritengono che la pubblicita’ internazionale e la pressione a sostegno degli sforzi locali possano contribuire a portare un cambiamento nel paese.

Il Paese delle donne online, 16 gennaio 2008

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