
di Joe Vannelli
Oggi, 25 aprile 2025, celebrando gli 80 anni dalla liberazione dell’Italia dal giogo nazifascista, Effimera vuole soffermarsi sulla (millantata) storia raccontata da alcuni “giornalisti” che sono stati sdoganati a partire dai fasti berlusconiani. Pur volendo evitare nostalgie tipiche di certo “antifascismo militante”, è necessario riconoscere che la peste diffusa da codesti fascisti in maschera, buoni per tutte le occasioni e oggi più che mai impegnati, nella battaglia per “l’egemonia culturale”, sul fronte della strenua difesa del familismo tradizionale, non è di poco conto. Essi contribuiscono a creare l’attuale clima che sta istigando (si veda la cronaca quotidiana) squadracce di patrioti machisti omofobi, misogini e transfobici a svolgere pestaggi e intimidazioni da strada fino ai femminicidi. Bravi ragazzi, insomma. Preclari esempi di quel personale-politico e giornalistico delle varie destre, ringalluzzito da questi decenni tristi.
Necessario, perciò, mantenere desta l’attenzione. Contro ogni riscrittura della storia, contro ogni revisionismo, ogni smemoratezza e ipocrisia, contro ogni parzialità faziosa, ricordiamo che il paese nel quale viviamo gode (ancora) di libertà e diritti conquistati da uomini e donne con la Resistenza.Buona festa della Liberazione a tutte e a tutti!
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Ieri, per caso, mi è capitato di leggere un settimanale, con l’intervista al giornalista Alessandro Sallusti, noto reazionario. Era, di fatto, una pubblicità del suo ultimo libro, conteneva una sorta di cronaca familiare. Sallusti sosteneva che suo nonno, il tenente colonnello della repubblica Sociale Biagio Sallusti, era stato fucilato “dai partigiani”, e questo benché fosse un brav’uomo, così bravo da morire invitando alla pace e alla fratellanza. Sallusti diceva poi di essere fiero del nonno. Ma la cronaca appariva alquanto reticente sul come, sul quando. Evocava invece il perché, ovvero la sentenza firmata dal nonno che sanciva la condanna a morte di Giancarlo Puecher, per rappresaglia. Ma ovviamente, afferma il nipote, non gli si poteva addebitare responsabilità, dunque quella dei partigiani era vendetta, il colonnello Biagio era un tipo mite e la famiglia Sallusti soffrì a torto. Per ripicca, scrive, rapinarono la casa di abitazione e perfino violentarono la nonna. Qui l’articolo accenna al peccato (senza offrire riscontri) ma non i peccatori; ma si lascia intendere che fossero sodali dei fucilatori, e senza ombra di dubbio da collocare nell’area dei partigiani o quanto meno degli antifascisti.
Io avevo un ricordo ben diverso. Ma stranamente dalla rete è ormai svanita la sequenza reale dei fatti. Ora la si rintraccia a fatica, e solo sapendo bene dove mettere le mani. Ne esce una verità ben diversa! Eccola.
Giancarlo Puecher era un cattolico di buona famiglia, il babbo aveva studio notarile. Prima fu per breve tempo aviatore volontario, come tale inserito nella generale milizia fascista. Poi, quando già era stata costituita la RSI, prese contatti nella zona di Como/Erba con l’antifascismo moderato. Certo non un comunista! Per rappresaglia contro un’azione partigiana, su ordine del prefetto di Como, tale Franco Scassellati Sforzolini, un macellaio criminale nazifascista, i collaborazionisti decisero di fucilare alcune persone. E misero su un processo farsa. Non si trovavano però, neppure fra i mussoliniani, persone disposte a presiedere una simile Corte. Il tenente colonnello Biagio Sallusti si offrì volontario e diresse il Collegio (composto anche da Domenico Pisani, Antonio Revel e Giuseppe Di Vita). Fu emessa sentenza di morte per 4 persone; poi fu convertita in una condanna per il solo Puecher, cui fu rifiutata la grazia (chiesta dalle autorità religiose) in quanto considerato traditore del fascismo . Puecher davanti al plotone di esecuzione volle perdonare i suoi assassini. Il caso ebbe risonanza notevole e per le modalità e e per la notorietà della famiglia e per la figura morale della vittima.
Dopo la fine della guerra, con decreto luogotenenziale del governo Bonomi, fu istituita il 22 aprile 1945 la Corte d’Assise Straordinaria in ogni provincia italiana. La Corte d’Assise di Como (composta da 5 membri, un magistrato e 4 giudici popolari), dopo un processo, con sentenza 31 luglio 1945, condannò a morte mediante fucilazione alla schiena non solo Biagio Sallusti, ma anche gli altri membri della giuria, concedendo le attenuanti solo al pubblico ministero di quel processo farsa. Il Sallusti si difese sostenendo di aver solo adempiuto a un ordine del prefetto Scassellati e dunque che si trattava, tecnicamente, di adempimento del dovere, invocando l’esimente penale. Ma questa difesa fu ritenuta dalla Corte d’Assise del tutto infondata: il Sallusti, oltretutto volontario nel compito, era comunque perfettamente in grado di cogliere la natura reale della decisione che era mera rappresaglia, in collaborazione con i nazisti.
Contro la decisione il colonnello Sallusti propose ricorso per Cassazione (Sezione Speciale provvisoria di Milano). Con sentenza 29 agosto 1945 n. 162 la Cassazione, esclusa nuovamente l’esimente di adempimento del dovere, confermò la condanna a morte. Presiedeva la Corte il dottor Toesca; relatore ed estensore della motivazione fu un giurista illustre, Vincenzo Chieppa, fondatore della associazione Nazionale Magistrati, messo forzatamente a riposo dal ministro fascista Rocco, reintegrato nelle funzioni dopo la liberazione (il figlio di Vincenzo, Riccardo Chieppa, pure lui magistrato, nel dopoguerra fu Presidente della Corte Costituzionale). Vincenzo Chieppa era una persona stimata, onesta, per bene, e certamente non un comunista. Il Sallusti chiese infine la grazia al Ministro Guardasigilli in carica, ma la domanda fu respinta: quel ministro era Palmiro Togliatti (primo governo De Gasperi). La sentenza è disponibile perché conservata presso l’archivio di stato.
Il giorno 8 febbraio 1946 (quando i partigiani di cui parla a vanvera Sallusti nipote avevano da tempo consegnato le armi) Biagio Sallusti nonno fu fucilato dal plotone regio di esecuzione nel poligono di Camerlata (Como). Solo il 2 giugno successivo sarebbe nata la Repubblica Italiana; a sparare furono i soldati del Re, non i “partigiani”.
La pena di morte fu abolita il 1 gennaio 1948, il divieto è ora sancito dalla Costituzione. Gli ultimi fucilati, a Forte Badia, nei pressi di La Spezia, in data 5 marzo 1947, furono Aurelio Gallo. Emilio Battisti e Aldo Morelli, pure loro nazifascisti.
Il più crudele fra i responsabili della morte di Giancarlo Puecher, pur condannato anche lui a morte con sentenza della Corte d’Assise 18 maggio 1946 (Giudice Raffaele Console), sfuggì all’arresto e riparò in Sudamerica. Nel 1951 ottenne la commutazione della pena capitale in ergastolo (mai scontato) e morì nel 1967. Il mandante Scassellati si salvò, l’esecutore Sallusti morì fucilato. Non è la prima volta che succede. Ma a Sallusti (Alessandro) questo non interessa. Lui continua ad essere fiero del nonno ucciso dai partigiani. D’altra parte Sallusti è alquanto disinvolto nelle sue narrazioni: condannato in via definitiva per diffamazione a 14 mesi di reclusione ha ottenuto dal (comunista :-)) re Giorgio Napolitano la grazia, il 21 dicembre 2012, senza carcere, con pena convertita in una multa di 15.522 euro.
È un tipo fatto così. Quanto alla nonna sostiene sia stata violentata (non si sa dove, quando e da chi, ma se lo dice lui, condannato per aver detto il falso e poi graziato, deve essere vero, tanto la nonna ormai non può intervenire); e lascia intuire che anche la violenza inflitta alla nonna sia opera dei partigiani. È un seriale!
L’aricolo è stato pubblicato su Effimera il 25 Aprile 2025