#PrivatoNOGRAZIE – Privati dell’acqua!
di Alessandro Graziadei
PrivatoNOGRAZIE! è una campagna promossa da Unimondo a partire dal “decreto concorrenza” votato a Roma dal Consiglio dei Ministri nel novembre del 2021. Il tema riguarda l’Italia ma quello delle privatizzazioni non è un tema secondario in nessuna parte del pianeta. Come sito “fratello” che appoggia la Campagna di Unimondo anche l’Atlante delle guerre e dei conflitti del Mondo pubblicherà alcuni articoli che indagano il fenomeno in diversi luoghi del Mondo.
La pandemia di Covid-19 in corso ci ha ricordato come un forte ruolo del settore pubblico sia la condizione necessaria per garantire a livello statale i diritti fondamentali, a partire da quello alla salute. Un insegnamento che il Governo Draghi ha deliberatamente deciso di ignorare, visto che l’Italia sta avviando una nuova stagione di privatizzazioni. Il ddl concorrenza, licenziato il 4 novembre dal Consiglio dei Ministri, grazie ai fondi del PNRR vuole provare a rimuovere gli ostacoli di carattere normativo e amministrativo per favorire l’apertura dei mercati ai servizi pubblici locali. Tra gli obiettivi c’è anche una vera e propria “riforma” del settore idrico che, scavalcando l’esito referendario del 2011, punta sui gestori “efficienti”: grandi aziende multiservizio, talvolta quotate in Borsa, capaci di garantire la massimizzazione dei profitti mediante processi finanziari, spesso a scapito dell’accesso all’acqua potabile, anche in Paesi che non hanno mai sofferto grandi problemi di siccità. In questi ultimi anni, però, in Italia si è sviluppato un’interessante movimento di riflessione sui beni comuni, che ha individuato in essi un valore fondante delle comunità e della società. Un argine a questa deriva. Ne abbiamo parlato con Paolo Carsetti, che nel 2006 è stato uno tra i promotori del Forum Italiano Movimenti per l’Acqua.
AG: Iniziamo se ti va dal 2011. Il Forum è stato in prima linea per difendere l’acqua bene comune nella campagna referendaria del 2011. Il referendum puntava ad escludere le imprese private dalla gestione del ciclo idrico nella convinzione che il loro interesse prevalente risiede nella ricerca del profitto invece dell’accesso per tutti all’acqua secondo regole di giustizia. Come mai non è stata scritta una legge capace di difendere il risultato referendario?
PC: Esiste una proposta di legge dal titolo “Disposizioni in materia di gestione pubblica e partecipativa del ciclo integrale delle acque” che, in teoria, sarebbe in discussione presso la Commissione Ambiente della Camera. Si tratta di un provvedimento che nasce dalla legge di iniziativa popolare presentata nel 2007 dal Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua col sostegno di oltre 400mila cittadini e successivamente ulteriormente aggiornato e depositato in questa legislatura a firma di diversi parlamentari del M5S.
Tale testo scaturisce dalla necessità di un cambiamento normativo nazionale e risulta essere la reale e concreta attuazione dell’esito referendario del 2011, che segni una svolta rispetto alle politiche che hanno fatto dell’acqua una merce e del mercato il punto di riferimento per la sua gestione.
Purtroppo il suo percorso in Commissione Ambiente è fermo da più di due anni, affossato sotto una valanga di emendamenti presentati da gruppi politici di maggioranza e opposizione. Contro l’acqua pubblica si è formato un unico grande fronte, su ispirazione delle multinazionali dell’acqua, che mette insieme Lega, Partito Democratico, Forza Italia, Fratelli d’Italia, e anche il M5S. Fuori dalle aule parlamentari, su impulso di Utilitalia (l’associazione dei gestori), si è prodotto un dibattito distorto da una narrazione artatamente creata da parte dei maggiori organi di informazione che ha puntato alla costruzione di uno scenario apocalittico sui costi della ripubblicizzazione allo scopo di spaventare l’opinione pubblica e distorcere la realtà dei fatti. Scenari destituiti di ogni fondamento con cifre messe a caso completamente smentiti dal dossier presentato dal Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua in collaborazione con Altreconomia. Dati alla mano è stato dimostrato come la ripubblicizzazione abbia costi contenuti decisamente aggredibili.
E’ stato anche dimostrato che la ripubblicizzazione è solo questione di volontà politica ed è stato ribadito come questa porterebbe a diversi benefici in termini di tariffe più eque ed effettiva realizzazione degli investimenti. Questioni non secondarie in un periodo di ulteriore approfondimento della crisi economica e sociale a seguito della pandemia e di inasprimento degli effetti dei cambiamenti climatici sulla risorsa idrica.
Il problema sta proprio nel fatto che la gestione dell’acqua è diventato un business sempre più redditizio e questa legge rappresenta una radicale inversione di tendenza puntando a realizzare una gestione del servizio idrico integrato interamente pubblica, partecipativa, ambientalmente sostenibile, con tariffe eque per tutti i cittadini, che garantisca davvero i diritti dei lavoratori e gli investimenti sulle infrastrutture, fuori da qualsiasi logica di profitto, oltre alla “incondizionabilità finanziaria” di un diritto fondamentale qual è il diritto all’accesso all’acqua.
L’approvazione della legge per l’acqua pubblica collocherebbe il nostro Paese in linea con l’attuale tendenza globale. Infatti, dopo tre decenni di risultati catastrofici, molte città, regioni e Paesi stanno chiudendo il capitolo delle privatizzazioni. Una silenziosa rivoluzione civile si sta dispiegando con le comunità nel mondo intero che rivendicano il controllo dei loro servizi dell’acqua per gestire questa risorsa cruciale in modo democratico, equo ed ecologico.
Negli ultimi 15 anni i casi di ripubblicizzazione sono stati oltre 235 in 37 Paesi, di cui circa 130 in Europa. Più di 100 milioni di persone sono state coinvolte in questa tendenza globale che sta assumendo un ritmo straordinariamente accelerato dimostrando come la ripubblicizzazione offre opportunità di sviluppo socialmente auspicabili, ambientalmente sostenibili e come i servizi idrici di qualità avvantaggino le generazioni presenti e future.
AG: Il 5 agosto 2011, solo un mese e mezzo dopo la vittoria nella consultazione, in qualità di Governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi firmò, insieme al Presidente della Banca Centrale Europea Jean Claude Trichet, la lettera all’allora Presidente del Consiglio Berlusconi in cui indicava come necessarie e ineludibili “privatizzazioni su larga scala” in particolare della “fornitura di servizi pubblici locali“. A distanza di 10 anni, da Presidente del Consiglio, Draghi sembra riprovarci e scavalcare così la sconfitta al referendum del 2011 utilizzando il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e le cosiddette “riforme abilitanti” per privatizzare la rete idrica. Ma è un ricatto dell’Europa o una scelta di Draghi e del suo Governo la strada delle privatizzazioni?
PC: Il governo Draghi non è assolutamente obbligato ad adempiere ad alcuna imposizione comunitaria sulla gestione dei servizi pubblici locali perché l’Europa demanda ai singoli Stati membri la scelta in merito alle modalità di gestione.
Quindi la strada delle privatizzazioni si configura come un’esplicita scelta politica di questo Governo.
D’altronde Draghi non ha mai dissimulato la volontà di contraddire l’esito referendario come giustamente hai ricordato segnalando la lettera del 2011.
Il combinato disposto tra PNRR e DDL sulla concorrenza risulta in “perfetta” continuità con le politiche di privatizzazione del passato ed è una risposta del tutto errata alla crisi pandemica non affrontando le questioni di fondo emerse in questi anni e soprattutto negli ultimi mesi, mantenendo un’impostazione completamente permeata e subalterna ad una logica privatistica volta alla massimizzazione del profitto.
Con queste nuove norme e provvedimenti il Governo intende chiudere una partita che Draghi ha iniziato a giocare ben 10 anni fa dimostrando, oggi come allora, di fare solo gli interessi delle grandi lobby finanziarie e svilendo strumenti di democrazia diretta garantiti dalla Costituzione.
AG: Tra l’altro come avete ricordato con il Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua “la supremazia del mercato diviene dogma inconfutabile nonostante la realtà dei fatti dimostri il contrario, soprattutto nel servizio idrico: aumento delle tariffe, investimenti insufficienti, aumento delle perdite delle reti, aumento dei consumi e dei prelievi, carenza di depurazione, diminuzione dell’occupazione, diminuzione della qualità del servizio, mancanza di democrazia”. Questo decreto, insomma, non rischia di peggiorare i servizi e restringere il ruolo degli Enti Locali espropriandoli di una loro funzione fondamentale come la garanzia di servizi essenziali e dei diritti ad essi collegati soprattutto per le fasce più impoverite della popolazione?
PC: Questo è uno dei punti centrali della nostra critica al DDL Concorrenza visto che rischia di restringere fortemente il ruolo degli Enti Locali espropriandoli di una loro funzione fondamentale come la garanzia di servizi essenziali e dei diritti ad essi collegati, per cui da presidi di democrazia di prossimità saranno ridotti a meri esecutori della spoliazione della ricchezza sociale.
Si punta, così, a completare quel processo di privatizzazione e di smantellamento di qualsiasi ruolo e funzione del pubblico che va avanti da decenni giungendo alla paralisi completa della funzione pubblica e sociale dei Comuni, costretti al ruolo di enti unicamente deputati a mettere sul mercato i servizi pubblici di propria titolarità, con grave pregiudizio dei propri doveri di garanti dei diritti della comunità di riferimento.
Questo provvedimento e in generale la gestione della crisi hanno molto a che fare con la democrazia e s’inseriscono nel progressivo svuotamento dei poteri delle istituzioni democratiche e nella trasformazione della propria funzione da garante dei diritti e dell’interesse generale a facilitatrice dell’espansione della sfera d’influenza dei grandi interessi finanziari sulla società.
Purtroppo la crisi nel nostro Paese si innesta dentro un profondo degrado delle istituzioni e della democrazia e dentro un altrettanto profonda frammentazione delle relazioni sociali.
Tutto ciò dovrebbe indurre a riprendere una riflessione sulla democrazia, sulla necessità di una sua espansione e sulle modalità mediante cui attuarla anche nella gestione dei beni comuni.
AG: Leggendo il ddl concorrenza si capisce che gli Enti Locali che opteranno per l’autoproduzione del servizio idrico, compresa la vera e propria gestione pubblica, saranno costretti a “giustificare” (letteralmente) il mancato ricorso al mercato e dovranno dimostrare anticipatamente e poi periodicamente le ragioni di tale scelta, sottoponendola al giudizio dell’Antitrust, oltre a prevedere sistemi di monitoraggio dei costi. Un onere che sembra difficilmente gestibile da molte realtà comunali italiane…
PC: Questa norma, di fatto, punta a rendere residuale la forma di gestione del cosiddetto “in house providing”, ossia l’autoproduzione del servizio compresa la vera e propria gestione pubblica, per cui gli Enti Locali saranno disincentivati a optare per tale scelta. Mentre i privati avranno solo l’onere di produrre una relazione sulla qualità del servizio e sugli investimenti effettuati.
Inoltre, si prevedono incentivi per favorire le aggregazioni indicando così chiaramente che il modello prescelto è quello delle grandi società multiservizi quotate in Borsa che diventeranno i soggetti monopolisti (alla faccia della concorrenza!) praticamente a tempo indefinito. Tutto ciò in perfetta continuità con quanto previsto dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.
E’ evidente che oggi si utilizza una strategia ben più subdola di quella sconfitta dal referendum, ovvero non si obbliga più alla privatizzazione ma si favoriscono i processi che puntano ad raggiungere il medesimo obiettivo.
AG: Sappiamo che la rete idrica italiana è datata. Ma la gestione pubblica con il ricorso all’auto-produzione del servizio idrico è veramente così inefficiente o esistono realtà pubbliche virtuose?
PC: L’approfondimento della crisi idrica a livello globale e anche in Italia ha fatto emergere le responsabilità di un sistema di gestione caratterizzato da una decennale mancanza di pianificazione e investimenti infrastrutturali perché piegato ad una logica monopolistica e privatistica che punta esclusivamente alla massimizzazione del profitto. Inoltre si è evidenziato come tale sistema sia andato a sovrapporsi al fenomeno del surriscaldamento globale e dei relativi cambiamenti climatici.
In questo quadro non c’è da stupirsi se la situazione delle perdite delle reti idriche e il loro stato siano arrivati ad un punto assai elevato di degrado. L’ISTAT parla di perdite che si attestano nel 2018 al 42%, addirittura in crescita rispetto al 35,6% del 2012. Siamo in presenza di una situazione eclatante, che la dice lunga sullo stato del nostro servizio idrico, e anche del fallimento delle scelte tutte orientate alla privatizzazione da almeno 20 anni in qua: basta considerare che, per fare un confronto con altri Stati europei, in Spagna le perdite arrivano al 22%, in Gran Bretagna al 19%, in Danimarca al 10% e in Germania al 7%.
E’ evidente la correlazione tra questa situazione, lo stato della rete idrica e gli investimenti del tutto insufficienti che si fanno in proposito.
Quello che occorre è un approccio radicalmente alternativo, e cioè la messa in campo di un piano straordinario di investimenti volto all’ammodernamento della rete idrica, magari come capitolo di un ben più vasto programma di rilancio degli investimenti pubblici riguardante la tutela del territorio e dell’ambiente a cui si deve affiancare una radicale riforma della gestione del servizio nel senso della ripubblicizzazione.
A questo scopo risulta necessario un nuovo meccanismo di finanziamento del servizio idrico e degli investimenti ad esso connessi, sulla cui base questi ultimi sono in via prioritaria assicurati con un nuovo intervento di finanza pubblica, mentre la tariffa copre i costi di gestione, gli ammortamenti per la parte degli investimenti finanziati con la finanza pubblica più il costo degli interessi del capitale, prevedendo comunque un’articolazione della tariffa sulla base delle fasce di consumo, e la fiscalità generale è chiamata ad intervenire per coprire il costo del quantitativo minimo vitale (50 lt/abitante/giorno) e un’altra quota parte di investimenti, in particolare quelli dedicati alle nuove opere.
Insomma, è possibile individuare una strada significativa per affrontare le questioni che stanno di fronte a noi, dal rilancio di una nuova fase di investimenti pubblici nel servizio idrico al fatto di misurarsi con i cambiamenti in corso, che dimostrano, se ce ne fosse ancora bisogno, che l’acqua è risorsa fondamentale per la vita e bene comune per eccellenza, e perciò non consegnabile alle logiche di mercato e di appropriazione privata. Occorre, però, costruire una seria inversione di tendenza rispetto alle scelte degli anni passati e riaffermare una volontà politica di gestione pubblica della risorsa, la stessa che è stata espressa con l’esito referendario del 2011 e che continua a rimanere un punto ineludibile per tutti.
AG: Secondo te, con un Governo così trasversale, è possibile sperare che sul tema delle privatizzazioni si sviluppi un onesto e critico dibattito pubblico, anche a livello parlamentare e non solo tra i movimenti della società civile?
PC: Ritengo che a fronte di questo rinnovato attacco serva una urgente ed ampia mobilitazione, che veda insieme movimenti sociali, sindacati, associazioni, organizzazioni, Enti Locali (per questo abbiamo preparato atti, da presentare nei consigli comunali, che chiedono lo stralcio dell’articolo 6 del DDL Concorrenza che privatizza i servizi pubblici locali) per il ritiro immediato di quanto contenuto nel provvedimento e un rilancio della difesa dei beni comuni e della gestione pubblica dei servizi, sia a livello nazionale che dentro tutti i territori.
L’obiettivo deve essere quello di sviluppare un onesto dibattito pubblico, anche a livello parlamentare. A questo scopo il movimento per l’acqua ha promosso un percorso di mobilitazione che il 20 novembre è passato anche per Napoli con una partecipata manifestazione nazionale. Una scelta non casuale visto che la città partenopea, insieme ai comuni dell’agrigentino, è stata l’unica a ripubblicizzare la gestione dell’acqua dopo il referendum.
In questi ultimi dieci anni si è sviluppata un’interessante riflessione sui servizi pubblici locali e sui beni comuni che ha individuato in essi un valore fondante delle comunità e della società senza i quali ogni legame sociale diviene contratto privatistico e la solitudine competitiva l’unico orizzonte individuale. Un valore che la pandemia ha dimostrato essere una delle poche soluzioni efficaci nelle nostre mani.
AG: I movimenti popolari in difesa dell’acqua pubblica nel Mondo si sono battuti, hanno sofferto, ma hanno anche vinto come in Italia nel 2011. A livello internazionale l’accesso all’acqua è stato riconosciuto a livello internazionale come un diritto umano universale, è diventato il 6 Obiettivo dell’Agenda 2030, ma nel 2030 20 milioni di cittadini non avranno ancora accesso all’acqua potabile. Eppure prezzo fissato dal contratto di compravendita a lungo termine di un certo quantitativo d’acqua potrebbe diventare presto oggetto di speculazione finanziaria. Il primo segnale si è registrato il 7 dicembre 2020 negli Stati Uniti quando, per la prima volta nella storia, la Chicago Mercantile Exchange, la società privata che gestisce la più importante Borsa mondiale nel campo delle materie prime, ha ammesso l’acqua, come materia prima, alle transazioni speculative a partire dell’acqua in California. Come è possibile?
PC: L’11 dicembre 2020, per la prima volta nella storia dell’umanità, l’acqua, come una qualsiasi altra merce, è stata scambiata in Borsa nel mercato dei “futures”.
L’inizio della quotazione dell’acqua segna un prima e un dopo per questo bene indispensabile per la vita sulla Terra. Si tratta di un passaggio epocale che apre alla speculazione dei grandi capitali e alla emarginazione di territori, popolazioni, piccoli agricoltori e piccole imprese ed è una grave minaccia ai diritti umani fondamentali.
L’acqua è già minacciata dall’incremento demografico, dal crescente consumo ed inquinamento dell’agricoltura su larga scala e della grande industria, dal surriscaldamento globale e dai relativi cambiamenti climatici.
Questa operazione speculativa rischia di rendere vana, nei fatti, la fondamentale risoluzione dell’Assemblea Generale dell’ONU del 2010 sul diritto universale all’acqua e, nel nostro paese, rappresenterà un ulteriore schiaffo al voto di 27 milioni di cittadine/i italiane/i che nel 2011 si espressero nel referendum dicendo che l’acqua doveva uscire dal mercato e che non si poteva fare profitto su questo bene.
Se oggi l’acqua può essere quotata in Borsa è perché da tempo è stata considerata merce, sottoposta ad una logica di profitto e la sua gestione privatizzata.
Il movimento per l’acqua ha promosso una grande mobilitazione su questo tema e si è manifestata una consapevolezza diffusa rispetto ai rischi derivanti dal sottoporre anche l’acqua, come qualsiasi altra merce, alla speculazione finanziaria
Diverse decine di migliaia di persone hanno sottoscritto l’appello del Forum Acqua e tante sono state anche le adesioni pervenute da parte di personalità del mondo della cultura, dell’attivismo sociale e politico e dello spettacolo di cui si riporta di seguito l’elenco completo.
Un’attenzione molto rilevante che evidenzia come la quotazione dell’acqua in Borsa venga percepita come una minaccia reale per tutta l’umanità e per la prosecuzione della vita stessa sulla Terra.
AG: Il Forum ha dato il via alla petizione: STOP al DDL Concorrenza, NO alle privatizzazioni. Per l’acqua pubblica e i beni comuni. Come andrà a finire?
PC: L’obiettivo prioritario è lo stralcio della norma che porterebbe alla definitiva privatizzazione dei servizi pubblici locali, compreso il servizio idrico.
A questo scopo ritengo sia necessario avviare un confronto largo e ampio con il fine di provare a costruire una mobilitazione che metta a nudo le contraddizioni di questa proposta, consenta la costruzioni di adeguati rapporti di forza e indichi alcuni temi in grado di invertire la rotta:
- il primato della vita e dei diritti fondamentali rispetto al mercato e alle sue logiche;
- la ripubblicizzazione dei servizi pubblici, a partire dal servizio idrico, come strumenti che garantiscono l’accesso e la fruibilità dei beni comuni e dei diritti;
- il riconoscimento dei beni comuni come elementi fondanti della coesione territoriale e di una società ecologicamente e socialmente orientata;
- l’espansione della democrazia e della partecipazione.
Viviamo tempi straordinari e si tratta di attrezzarci di conseguenza per “liberare il presente e riappropriarci del futuro, consapevoli che il tempo è ora”.
AG: Grazie Paolo e grazie al Forum per il suo importante lavoro di sensibilizzazione ed informazione!
L’articolo è stato pubblicato su Unimondo il 25 gennaio 2022
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