Guerra

C’è un morto nel messaggio di Zelensky a Sanremo: la pace

di Europe for Peace

Caro presidente Zelensky.
Rispondiamo alla sua lettera che abbiamo potuto leggere in ritardo, poiché ci siamo rifiutati di seguire in diretta l’ultima serata del festival.
Abbiamo boicottato questa serata perché pur amando anche noi la musica, amiamo di più la pace. Quella pace che lei, caro presidente, nella sua lettera non ha nominato neanche una volta. Quella stessa pace che né lei e né i governi europei si sono mai sforzati in nessun modo di cercare. La bistrattata pace che i pacifisti del suo paese stanno chiedendo a gran voce, ricevendo in cambio dal suo governo umiliazione, prigione e morte.
E se la pace sembra sparita dal suo vocabolario, abbiamo sentito molte volte, invece, la parola “vittoria”. Nella sua lettera ha invitato i nostri artisti a venire nel suo Paese il giorno della vittoria.
Quello che ha trascurato di dirci è che purtroppo, se quella vittoria arriverà, sarà soltanto dopo che il fuoco della guerra avrà consumato non solo il suo paese ma anche i nostri, coinvolgendoli nella più grande catastrofe che si possa immaginare: la terza guerra mondiale. Una possibilità che sembrava tanto remota, ma che oggi inizia a sembrare possibile, se non addirittura probabile.
L’applauso che lei ha ricevuto ieri non è quello del popolo italiano, ma quello di un ridotto circo mediatico addomesticato. Perché la maggioranza del popolo italiano è contraria alla guerra e al continuo invio di armi verso il suo Paese, che provocherà solo più morti allontanando ancora la pace.

Presidente Zelensky, le nostre parole non nascono da un astio nei confronti del popolo ucraino, per il quale -al contrario- nutriamo grande stima e affetto.
Ed è proprio per la grande solidarietà e per l’amore che proviamo per le nostre sorelle e fratelli ucraini, che le chiediamo con tutto il cuore di farsi da parte e lasciare spazio a qualcuno che sia in grado di gestire un processo di distensione e di pace, prima che sia troppo tardi.
E quando la pace tornerà, saremo davvero felici di venire in Ucraina a festeggiare assieme a tutti gli altri pacifisti europei, ucraini e russi.

L’articolo è stato pubblicato su Pressenza il 12 febbraio 2023 ed è disponibile anche in tedesco

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Discorso di Roger Waters al Consiglio di Sicurezza dell’ONU

di  
traduzione di Anna Polo

Roger Waters, cofondatore dei Pink Floyd, è intervenuto alla riunione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (UNSC) tenutasi mercoledì 8 febbraio 2023 a New York.

Signora/Signor Presidente, Eccellenze, Signore e Signori.

Mi sento profondamente onorato di avere questa singolare opportunità di rivolgermi oggi alle vostre Eccellenze. Grazie alla vostra pazienza, cercherò di esprimere quelli che ritengo essere i sentimenti di innumerevoli nostri fratelli e sorelle in tutto il mondo, sia qui a New York che oltreoceano. Li inviterò in queste sale sacre per dire la loro.

Siamo qui per considerare le possibilità di pace nell’Ucraina dilaniata dalla guerra, soprattutto alla luce del crescente volume di armi che arrivano in questo infelice Paese. Ogni mattina, quando mi siedo al mio computer, penso ai nostri fratelli e sorelle, in Ucraina e altrove, che senza alcuna colpa si trovano in circostanze terribili e spesso mortali. Laggiù, in Ucraina, possono essere soldati che affrontano un’altra giornata mortale al fronte, o madri o padri che si pongono l’atroce domanda di come possono sfamare i figli, o civili che sanno che oggi la luce si spegnerà di sicuro, come accade sempre nelle zone di guerra, che non c’è acqua corrente, che non c’è carburante per la stufa, che non ci sono coperte, ma solo filo spinato e torri di guardia e muri e ostilità. Oppure possono trovarsi in gravi difficoltà qui, in una città grande e ricca come New York. Forse, in qualche modo, per quanto abbiano lavorato duramente per tutta la vita, hanno perso l’equilibrio sul ponte scivoloso e inclinato della nave capitalista neoliberista che chiamiamo vita in città e sono caduti in mare, finendo per annegare. Forse si sono ammalati, o forse hanno contratto un prestito studentesco, forse hanno saltato un pagamento, i margini sono sottili, chi lo sa, ma ora vivono per strada sotto un mucchio di cartone, forse anche in vista di questo edificio delle Nazioni Unite. In ogni caso, ovunque si trovino, in tutto il mondo, zone di guerra o meno, insieme costituiscono una maggioranza, una maggioranza senza voce. Oggi cercherò di parlare per loro.

Noi popoli vogliamo vivere. Vogliamo vivere in pace, in condizioni di parità che ci diano la possibilità reale di prenderci cura di noi stessi e dei nostri cari. Siamo grandi lavoratori e siamo pronti a lavorare sodo. Tutto ciò di cui abbiamo bisogno è una giusta opportunità dopo cinquecento anni di imperialismo, colonialismo e schiavitù.

In ogni caso, vi prego di aiutarci.

Per aiutarci dovrete considerare la nostra situazione e per farlo dovrete distogliere per un attimo lo sguardo, mettendo momentaneamente da parte i vostri obiettivi. A proposito, quali sono i vostri obiettivi? E qui forse rivolgo le mie domande più ai cinque membri permanenti di questo Consiglio. Quali sono i vostri obiettivi? Cosa c’è nella pentola d’oro alla fine dell’arcobaleno? Maggiori profitti per le industrie belliche? Più potere a livello globale? Una fetta più grande della torta globale? La Madre Terra è una torta da divorare? Una fetta più grande della torta non significa forse che ne resterà meno per tutti gli altri? E se oggi, in questo luogo di sicurezza, guardassimo in un’altra direzione, per esempio alla nostra capacità di empatia, di metterci nei panni degli altri, come, per esempio, in questo momento, nei panni di quel ragazzo dall’altra parte di questa stanza, o anche nei panni della maggioranza senza voce, ammesso che abbia dei panni con cui coprirsi?

La maggioranza senza voce è preoccupata che le vostre guerre, sì, le vostre guerre, perché queste guerre perpetue non sono una nostra scelta, che le vostre guerre distruggeranno il pianeta che è la nostra casa, e insieme a ogni altro essere vivente saremo sacrificati sull’altare di due cose, i profitti della guerra per riempire le tasche di pochi, pochissimi, e la marcia egemonica di qualche impero o altro verso il dominio mondiale unipolare. Per favore, rassicurateci che questa non è la vostra visione, perché non c’è alcun risultato positivo su questa strada. Quella strada porta solo al disastro, tutti hanno un pulsante rosso nella loro valigetta e più andiamo avanti, più le dita pruriginose si avvicinano a quel pulsante rosso e più ci avviciniamo tutti all’Armageddon. Guardate dall’altra parte della stanza, a questo livello siamo tutti nella stessa situazione.

Torniamo all’Ucraina. L’invasione dell’Ucraina da parte della Federazione Russa è stata illegale. La condanno nei termini più forti possibili. Non si può dire però che non ci sia stata una provocazione dietro a questa invasione, quindi condanno anche i provocatori nei termini più forti possibili. Ecco, mi sono tolto il pensiero.

Quando ieri ho scritto questo discorso, ho incluso un’osservazione sul fatto che il potere di veto in questo Consiglio si trova solo nelle mani dei suoi membri permanenti. Temevo che ciò fosse antidemocratico e rendesse impotente questo Consiglio, come una bocca senza denti… Stamattina ho avuto una rivelazione… SENZA DENTI! Forse per certi versi è una buona cosa… Forse posso aprire la mia grande bocca a nome di chi non ha voce senza che mi venga staccata la testa a morsi… Che bello! Stamattina ho letto sul giornale che un diplomatico anonimo ha detto: “Roger Waters parla al Consiglio di Sicurezza? E poi chi arriverà? Mr Bean! Ah! Ah! Ah!” Per chi non lo sapesse, Mr Bean è un personaggio inetto di una serie televisiva comica inglese. Quindi il diplomatico anonimo è un inglese! Ah! Ah! Ah! Anche a lei, signore!

Ok, credo sia giunto il momento di presentare mia madre, Mary Duncan Waters, che ha avuto una grande influenza su di me; era una maestra, dico era perché è morta da quindici anni. Anche mio padre, Eric Fletcher Waters, ha avuto una grande influenza su di me; anche lui è morto, è stato ucciso il 18 febbraio 1944 ad Aprilia, vicino alla testa di ponte di Anzio, in Italia, quando avevo solo cinque mesi, quindi ne so qualcosa di guerra e di perdite. Comunque, torniamo a mia madre. Quando avevo circa tredici anni stavo lottando con qualche problema adolescenziale o altro cercando di decidere cosa fare, non importa cosa fosse, non riesco comunque a ricordarlo, ma mia madre mi fece sedere e mi disse: “Ascolta, ti troverai di fronte a molti problemi difficili nel corso della tua vita e quando lo farai ecco il mio consiglio: Leggi, leggi, leggi, scopri tutto quello che puoi su qualunque cosa, guardala da tutti i lati, da tutte le angolazioni, ascolta tutte le opinioni, specialmente quelle con cui non sei d’accordo, fai una ricerca approfondita, quando l’avrai fatto avrai concluso tutto il lavoro pesante e la parte successiva sarà facile. Ok mamma, qual è la parte più facile? Oh, la parte più facile è che devi solo fare la cosa giusta”. Hmm!

Parlare di fare la cosa giusta mi porta ai diritti umani.

Noi, il popolo, vogliamo diritti umani universali per tutti i nostri fratelli e sorelle in tutto il mondo, indipendentemente dalla loro etnia, religione o nazionalità. Per essere chiari, ciò include, ma non si limita, al diritto alla vita e alla proprietà secondo la legge, per esempio per gli ucraini e per i palestinesi. Sì, lasciatevelo dire. E ovviamente per tutti gli altri. Uno dei problemi delle guerre è che in una zona di guerra o in qualsiasi altro luogo in cui la popolazione vive sotto occupazione militare, non c’è ricorso alla legge, non ci sono diritti umani.

Oggi ci occupiamo della possibilità di pace in Ucraina, con particolare riferimento all’invio di armi al regime di Kiev da parte di terzi.

Non ho più molto tempo, quindi,

Cos’hanno da dire i milioni di persone senza voce?

Dicono:

Grazie per averci ascoltato oggi

Siamo i molti che non partecipano ai profitti dell’industria bellica.

Non alleviamo volontariamente i nostri figli e le nostre figlie

per fornire carne da macello ai vostri cannoni.

Secondo noi

L’unica linea d’azione sensata oggi

è chiedere un immediato cessate il fuoco in Ucraina.

Senza se, senza ma e senza e.

Non una sola altra vita ucraina o russa deve essere sacrificata.

Non una.

Sono tutte preziose ai nostri occhi.

È quindi giunto il momento di dire la verità al potere. Vi ricordate tutti la storia del re nudo? Certo che sì. Ebbene, i leader dei vostri rispettivi imperi sono, in un modo o nell’altro, nudi davanti a noi. Abbiamo un messaggio per loro. È un messaggio da parte di tutti i rifugiati in tutti i campi, un messaggio da tutte le baraccopoli e le favelas, un messaggio da parte di tutti i senzatetto, in tutte le strade fredde, da tutti i terremoti e le alluvioni sulla terra. È anche un messaggio da parte di tutte le persone che non muoiono di fame, ma che si chiedono come fare perché la miseria che guadagnano possa coprire il costo di un tetto sopra la testa e del cibo per le loro famiglie. La mia madrepatria, l’Inghilterra, grazie a Dio, non è più un Impero, ma in quel Paese ora c’è un nuovo tormentone: “Mangiare o riscaldarsi?” Non si possono fare entrambe le cose. È un grido che riecheggia in tutta Europa.

A quanto pare, l’unica cosa che le potenze pensano che possiamo permetterci è la guerra perpetua. Una follia…

Quindi, da parte dei circa quattro miliardi di fratelli e sorelle di questa maggioranza senza voce che, insieme ai milioni del movimento internazionale contro la guerra, rappresentano un enorme collegio elettorale, diciamo basta! Chiediamo un cambiamento.

Presidente Biden, Presidente Putin, Presidente Zelensky,

USA, NATO, RUSSIA, L’UE, TUTTI VOI.

PER FAVORE, CAMBIATE ROTTA ORA,

ACCETTATE UN CESSATE IL FUOCO IN UCRAINA OGGI STESSO.

Questo, ovviamente, sarà solo il punto di partenza, ma tutto si estrapola da quel punto di partenza. Immaginate il sospiro di sollievo collettivo a livello mondiale. L’esplosione di gioia. L’unione internazionale delle voci che cantano in armonia un inno alla pace! John Lennon che agita il pugno dalla tomba. Finalmente siamo stati ascoltati nei corridoi del potere. I bulli nel cortile della scuola hanno accettato di smettere di giocare con il pericolo atomico. Alla fine non moriremo tutti in un olocausto, o almeno non oggi. Le potenze sono state convinte ad abbandonare la corsa agli armamenti e la guerra perpetua come loro modus operandi. Possiamo smettere di sperperare tutte le nostre preziose risorse nella guerra. Possiamo nutrire i nostri figli, possiamo tenerli al caldo. Potremmo persino imparare a cooperare con tutti i nostri fratelli e sorelle e persino salvare il nostro bellissimo pianeta dalla distruzione. Non sarebbe bello?

Eccellenze,

vi ringrazio per la vostra pazienza.

Roger Waters

Foto di Jethro da Wikipedia

L’articolo è stato pubblicato su Pressenza il 9 febbraio 2023

L’articolo originale in lingua inglese lo trovate qui

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La Nato ripudia la pace

di Pietro Caresana

Circa 200 persone hanno partecipato, dibattuto e ascoltato le relazioni proposte nella due giorni Il futuro è Nato?, organizzata tra 4 e 5 febbraio da una rete di realtà pacifiste e contro il nucleare nella suggestiva sede del Castello dei Missionari Comboniani a Venegono Superiore, in provincia di Varese.

In veste di ospiti sono intervenuti, chi in presenza chi online, Manlio Dinucci, Jean Toschi Marazzani Visconti, Alberto Negri, Antonio Mazzeo, Rossana De Simone, Claudio Giangiacomo, Patrick Boylan, monsignor Luigi Bettazzi, Mario Agostinelli e padre Alex Zanotelli.

Se l’idea di futuro auspicabile che si ha vede un pianeta in pace, senza conflitti e devastazioni nucleari, senza crisi ambientale e all’insegna del rispetto dei diritti umani, allora si può affermare senza remore che il futuro non è affatto Nato. Anzi, la situazione geopolitica che l’umanità sta vivendo dovrebbe far parlare piuttosto di un futuro morente. Nel corso della due giorni, estremamente densa per la quantità di contributi apportati, dati sciorinati ed esempi riferiti, è infatti emerso con chiarezza come l’assetto di potere contemporaneo minacci in modo molto serio il destino dell’umanità.

Chiunque si occupi di pace non può non intersecare il discorso sul nucleare, quello ambientale e, appunto, quello che porta a discutere e criticare il ruolo di controllo autoconferitosi dal Patto Atlantico. Sono tre temi connessi e di uguale gravità ma, come è emerso in diverse relazioni, il denominatore comune sembra essere l’egemonia della Nato sulla situazione globale. Agostinelli nel suo intervento ha fatto infatti notare che il leitmotiv del XX e del XXI secolo sembra essere l’idea che non ci sia spazio per tutti sotto il sole del potere e del benessere e ciò conduce fisiologicamente a una lotta per l’egemonia per cui il blocco vincitore della Guerra Fredda (quello imperialista statunitense) deve trovare ed eliminare qualunque potenziale concorrente.

Dunque, si spiegano le infiltrazioni americane nella costellazione di conflitti (Jugoslavia, Iraq e Libia per fare alcuni eclatanti esempi) scoppiati a seguito del crollo dell’Urss. Toschi e Dinucci hanno mostrato, l’una ripercorrendo la storia dell’influenza bellica dei quadri di potere occidentali dal ’45 a oggi, l’altro ricordando che l’attuale conflitto russo-ucraino è ben più che un’alzata di capo estemporanea di Putin, come il disegno di presa di potere globale della Nato abbia fortemente connotato e determinato la storia di guerra contemporanea.

Un trascorso bellico che, ha sottolineato Negri, si fonda sul mito della vittoria totale; una sorta di ideologia del conflitto che da una parte alimenta le mire espansionistiche occidentali e dall’altra, nel caso specifico, porta a pensare che la questione russo-ucraina possa risolversi con la vittoria definitiva di una delle due parti. Questo tipo di ragionamento, è evidente, incentiva il protrarsi delle ostilità allontanando ogni possibilità di reale negoziato (e va sottolineato che non negoziano mai direttamente i cittadini indifesi o le persone che vorrebbero la pace, ma solo leader che hanno più interessi a far combattere che a riappacificare).

L’Unione Europea potrebbe, almeno teoricamente, far valere la propria voce per una cessazione dei combattimenti, ma la sua storia recente testimonia un pressoché totale allineamento rispetto alle decisioni statunitensi. L’Italia stessa è coinvolta in prima linea come complice dei signori della guerra, lo testimoniano le basi Nato diffuse per il paese così come l’accoglienza incostituzionale di testate nucleari sul proprio territorio. Mazzeo e Giangiacomo, rispettivamente, hanno messo in luce lo slittamento del Patto Atlantico da una funzione prettamente difensiva a una preventiva. Ciò comporta una generalizzazione del concetto di “pericolo” e “nemico” (che in epoca finanziaria capitalista diventa, più propriamente, “concorrente”) che consente uno spazio di manovra ampio anche nel concepire di essere la potenza che fa la prima mossa: che impiega cioè le armi, anche atomiche, per fini offensivi.

Fa gioco in questo senso che il nemico, come si diceva, dopo il ’91 molto meno semplice da definire, siano stati i terroristi per il primo quindicennio del 2000 e ora, ancora più genericamente, siano le cosiddette minacce ibride. Aumenta la viscosità di una controparte invisibile forse perché inesistente e di conseguenza aumenta il controllo delle libertà che chi come promette di fare la Nato ha intenzione di difendere l’Occidente può esercitare sui cittadini dei propri Paesi.

D’altra parte, gli Stati hanno completamente perso il proprio potere giurisdizionale se è vero che, come testimonia anche il parere giuridico commissionato a Ialana e sintetizzato in un testo di cui si sta parlando molto negli ultimi tempi, il nucleare sul suolo italiano è anticostituzionale. Inoltre, De Simone ha testimoniato del peso della diffida, da parte della Nato ai suoi membri, dal firmare il trattato di proibizione del nucleare del 2021. Data la posta di potere in gioco a quel tavolo, è molto difficile convincere uno Stato ad andare contro i dettami di questa entità internazionale.

Di fronte a questo sconfortante scenario di esautorazione statale e dominio globale, sembra ci siano pochi strumenti per costruire un futuro di pace. Eppure, come hanno sottolineato tanto monsignor Bettazzi che padre Zanotelli, la guerra è una follia che non può che decretare la fine dell’umanità. Attraverso la lente cristiana di cui sono portatori, i due relatori nei loro discorsi hanno parlato dell’assurdità di fare guerra per fermare la guerra e hanno ricordato che, anche a livello pontificio, l’idea di guerra giusta è ormai ampiamente superata. Non resta che l’irrazionalità del conflitto, un delirio che solo una reale democratizzazione dell’Onu, tramite il superamento del sistema per veti, e la costruzione di una mentalità nonviolenta possono fermare.

L’urgenza di una cessazione dei conflitti, come se non bastasse, è anche ambientale: il nucleare ma anche le armi non atomiche sono una condanna per gli ecosistemi. Se si uniscono gli effetti deleteri di bombe e inquinamento “normale”, l’urgenza di una transizione ecologica che sia anche pacifica è impellente sia sul piano climatico che su quello della giustizia sociale.

Egemonia Nato e crisi socio-economica e ambientale sono insomma i principali tre problemi emersi dai momenti di conferenza tenutisi a Venegono. C’è però qualcosa che, anche come singoli, si può fare per impegnarsi nella costruzione di un futuro vivibile e pacifico. Zanotelli ha indicato una serie di azioni di resistenza al mercato della guerra: obiezione di coscienza alla leva, opzione (devolvere soldi a cause di pace e nonviolenza) se non obiezione fiscale e boicottaggio delle banche armate (Unicredit, Deutsche Bank e Intesa Sanpaolo le tre principali) sono tre strumenti che ciascuno può adottare, nonostante il loro costo e la loro difficoltà per il singolo. Inoltre, Toschi ha rilanciato la campagna Fuori l’Italia dalla guerra, piattaforma pacifista di massa critica trasversale ad ogni credo, provenienza ed ideologia e appartenenza politica. Un altro strumento individuale, proposto da Boylan, è inoltre «informarsi meglio per protestare meglio»: le politiche belliche della Nato si fondano su un’informazione di parte, spesso falsa e altrettanto frequentemente parziale. Un pubblico non critico non può essere efficace nel costruire una massa di resistenza pacifista; serve documentarsi attraverso fonti alternative, non allineate e, soprattutto, non sempre occidentali per sfuggire alle vere e proprie bolle informative-narrative che vengono a costruirsi attraverso i canali di grande distribuzione informazionale.

Nella propria eterogeneità di vedute, retroterra politici e sfaccettature, il congresso Il futuro è Nato? ha dato varie chiavi di lettura per un presente armato che è urgente sovvertire. Per discutere di altre esperienze di pace e opposizione al sistema egemone Nato, la sessione pomeridiana di domenica 5 febbraio è stata dedicata al confronto tra le realtà ed i singoli aderenti, per progettare un futuro solidale, ecologico e pacifico anche a partire dall’azione locale.

L’articolo è stato pubblicato su Pressenza il 6 febbraio 2023
La foto è di Alexander Antropov da
Pixabay

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La guerra è guerra e gli affari sono affari.

Carro armato

di Raffaele Crocco

La guerra è guerra, viene da dire. E gli affari sono affari. Così, mentre il calendario sfoglia il giorno numero 230 di questa fase della guerra in Ucraina, scopriamo che Erdogan incontra Putin per parlare d’affari. Gas, nello specifico, immaginando che la Turchia possa diventare la futura piattaforma internazionale per comperarlo. Addio Amsterdam, quindi – ipotesi che per altro trova molti d’accordo – e, chissà?, avanti Ankara, con la benedizione di Putin, che trova Erdogan “partner affidabile”.

Tutto questo è accaduto ad Astana, come è tornata chiamarsi la capitale del Kazakistan dopo la breve stagione come Nur Sultan. Putin e Erdogan si sono incontrati. Le cancellerie lo avevano annunciato. Si sperava in qualche importante passo negoziale: zero assoluto. Si è parlato d’affari, con la Turchia che si è garantita le forniture di gas russo.  Turkish Stream, il gasdotto che collega i due Paesi, funziona a pieno ritmo. Mossa abile, quella del neo sultano turco, soprattutto pensando che si tratta dello stesso Erdogan che a Kiev, qualche mese fa, si è garantito un ruolo di primo piano nella ricostruzione dell’Ucraina distrutta dalla guerra.

L’ambivalenza turca, il fare affari con tutti, vale oro colato per le casse di Ankara. E’ per altro la logica prosecuzione di tutto ciò che, fra il 2014 e il 2022, ha portato all’attuale disastro. Il prevalere degli affari fra Unione Europea, Kiev, Mosca, ha sempre tenuto lontana la soluzione reale del conflitto nel Donbass

Ora, mentre ancora si fanno affari, si continua a morire. Leopoli e Ternopil, città dell’Ucraina occidentale, sono sotto attacco di giorni. Pare siano state colpiti solo obiettivi militari, ma il conto dei morti fra i civili è difficile. Una stima approssimativa parla, ad oggi, di almeno 50mila morti, ma il numero non è ufficiale. Muoiono le persone, si distrugge un Paese. Mosca dichiara di aver reso inservibile, ad oggi, almeno il 30% dell’infrastruttura energetica dell’Ucraina. Questo significa aver messo in ginocchio la struttura sociale e in grave difficoltà ospedali e centri di assistenza. Kiev però non molla. Ha colpito la regione russa di Belogorod. Il bersaglio è stato un deposito di armi, ma le autorità russe hanno reagito accusando di “terrorismo” le forze armate ucraine.

Sul piano militare, la situazione di Mosca resta difficile. L’offensiva dell’esercito ucraino è stata consistente nelle ultime settimane. Nel Donbass non solo hanno fermato l’avanzata russa, ma hanno messo sotto pressione le province di Lugansk e Donetsk. Mosca dovrà difenderle schierando uomini che in questo momento non ha o non sono bene addestrati.

Ormai, tutti gli osservatori concordano: la guerra sarà lunga e l’inverno terribile. Gli alleati europei e gli Stati Uniti hanno garantito al presidente Zelensky che continueranno le forniture di armi ed equipaggiamento anche durante l’inverno. Il segretario della Nato, Stoltenberg, ha confermato che l’Alleanza Atlantica sarà “al fianco dell’Ucraina tutto il tempo necessario”. Poi annunciato che presiederà una “riunione del gruppo di pianificazione nucleare. La prossima settimana, la Nato terrà la sua esercitazione di deterrenza nucleare pianificata da tempo. Si chiama “Mezzogiorno fisso”. E’ un allenamento di routine, programmato ogni anno”.

Sono, quindi, ancora le armi le protagoniste. La diplomazia tace e mentre Putin si dice ormai pronto a ritirarsi dall’accordo che permetteva al grano ucraino di lasciare i porti per raggiungere il Mondo, Zelensky chiarisce ancora una volta che “con Putin non ci sono spazi diplomatici possibili. Tratteremo solo con un altro, eventuale, capo della Russia”. Una posizione dura, che trova l’esatta controparte nel capo del Cremlino. Il presidente russo si è detto possibilista circa un confronto con Biden, non con Zelensky. E’ l’ennesimo sfregio: il Cremlino continua a non riconoscere come legittimo il governo di Kiev e mette in dubbio la sovranità dell’Ucraina, tanto da voler trattare con Washington. Un gioco terribile, che fa capire come, per tutti, la pace sia cosa secondaria.

Foto di Casper Ghost da Pixabay
L’articolo è stato pubblicato su Unimondo il 14 ottobre 2022

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Le voci della ragione: conversazione con Vittorio Agnoletto

di Laura Tussi

Tussi. Il tema della pace è ora più che mai urgente, sia per la guerra russo-ucraina, sia per le tensioni internazionali sempre più pericolose. Immagino che per un medico come lei, che si occupa di salute, cioè di vita, questa situazione deve costituire un grave allarme. Il pericolo riguarda anche il nostro ecosistema che le guerre e gli esperimenti nucleari aggravano. Un motivo in più perché gli ecopacifisti facciano sentire la loro voce di condanna.

Agnoletto. La guerra, oltre che morti, feriti e distruzione, porta anche inquinamento disastri ambientali e malattie. Si ragiona poco sul fatto che l’uso di armi esplosive, per esempio nelle aree urbane, crea grandi quantità di detriti e di macerie che possono causare un inquinamento dell’aria e del suolo. L’inquinamento provocato dalle guerre può provocare tanti e tanti problemi, per esempio, dal punto di vista ambientale, anche nelle falde acquifere: sono i cosiddetti danni collaterali della guerra, ma come impatto sono tutt’altro che collaterali. E poi non dimentichiamoci che le emissioni di CO2 di alcuni grandi eserciti possono addirittura essere maggiori di quelle emesse da intere nazioni. Esiste una ricerca della Lancaster University che dimostra quanto l’esercito degli Stati Uniti sia uno dei maggiori inquinatori. È l’istituzione che consuma più petrolio ed è uno dei principali emettitori di gas serra. L’esercito statunitense se fosse una nazione si collocherebbe tra il Perù e il Portogallo nella classifica globale degli acquisti di carburante. Si può fare anche un esempio purtroppo molto attuale: un F35 per percorrere 100 km consuma circa 400 litri di carburante che corrispondono all’emissione di 27.800 kg di Co2. L’aviazione tra le varie armi è quella che detiene la percentuale più alta di emissione all’interno del sistema di difesa USA. È necessario non dimenticare le malattie, le ricadute sull’ambiente e l’inquinamento ambientale che possono derivare da un conflitto. Rifacciamoci a un’esperienza storica che purtroppo conosciamo e della quale abbiamo parlato tante volte: le conseguenze della guerra in Iraq sono state, dal punto di vista sanitario, tremende. Pensiamo ai tumori, ai bambini nati deformi e a tante altre gravi condizioni di salute degli abitanti di quella regione, tutto questo non viene considerato. Va inoltre valutato anche un altro aspetto. I danni provocati dalla guerra sono anche collegati ad altri disastri sociali: pensiamo per esempio al fatto che intere popolazioni, migliaia, talvolta decine o centinaia di migliaia di persone sono obbligate ad abbandonare le loro case e finiscono nei campi per rifugiati, nei quali vivono una condizione molte volte ai limiti della dignità umana: mancano i servizi essenziali, sussiste una scarsità d’acqua e non ci sono, oppure sono assolutamente insufficienti, i servizi igienici. Senza contare la gestione dei rifiuti di simili aggregati umani e l’impatto ambientale che ne deriva. E quindi il risultato di una guerra – anche limitandosi ad osservare quello che accade nei territori coinvolti, senza analizzarne le conseguenze ad ampio raggio sull’economia globale – non si ferma “solo” ai morti e ai feriti ma è molto più ampio e devastante.

Tussi. Gli scienziati continuano a mettere in guardia i governi e gli Stati e parlano di baratro nucleare. Secondo molte autorevoli personalità ci stiamo incamminando su una via di non ritorno. Che cosa possiamo fare?

Agnoletto. Va precisato innanzitutto che non esiste un nucleare buono e un nucleare cattivo. È una tecnologia che prevede sempre un rischio. Un rischio che esiste, non eliminabile e che può avere delle conseguenze veramente pesantissime. Noto in questi giorni una contraddizione pazzesca da parte dell’establishment, sui giornali principali, sui grandi media, nelle parole dei portatori del pensiero unico in Italia come in tutta Europa. Viene lanciato un grande allarme per quello che può avvenire nella centrale nucleare di Zaporizhia – teniamo conto che 6 dei 15 reattori presenti in Ucraina sono collocati all’interno di questa centrale – ma contemporaneamente, per rispondere alla crisi energetica, quegli stessi paesi, quegli stessi protagonisti del pensiero unico spingono, attraverso i media mainstream, per un ritorno al nucleare. Questa è una contraddizione incredibile. Il ritornello di questi governi è: “Se il nucleare lo controlliamo noi, allora siamo sicuri. Incidenti non ci possono essere”. Proviamo, invece, a ipotizzare la possibilità che ci sia un incidente. Ci ritroveremmo in una situazione di stress collettivo ben superiore a quella che stiamo vivendo ora in relazione a quello che può accadere nelle centrali nucleari dell’Ucraina. Che cosa si può fare? Innanzitutto, dobbiamo valorizzare ulteriormente il grande impatto che ha avuto la campagna internazionale per l’abolizione delle armi nucleari Ican che ha vinto anche il premio Nobel per la Pace nel 2017. Uno dei primi obiettivi è far sì che l’Italia firmi il Trattato voluto da Ican, il TPAN, Trattato Proibizione armi nucleari. Di questo il mondo politico non parla, ma è un obiettivo assolutamente fondamentale. Credo che i ragionamenti intorno alla guerra, in epoca nucleare, debbano modificarsi completamente. E non è un caso che la stessa chiesa cattolica abbia modificato totalmente la propria dottrina sulla guerra rispetto alla “guerra giusta”; ritengo che dovrebbe diventare senso comune la famosa affermazione di Einstein: “Non so con quali armi sarà combattuta la terza guerra mondiale. Ma la quarta sarà combattuta con pietre e bastoni”.

Tussi. In questi giorni ho letto il pamphlet dello scrittore disarmista Angelo Gaccione Scritti contro la guerra. Un discorso molto radicale e che considera tutti gli Stati armati – per la loro ricerca bellica, per gli ordigni di sterminio sempre più terribili di cui si dotano, e per la gigantesca spesa militare – responsabili di un sistema criminale ai danni degli esseri umani e della natura. Sostiene che in era nucleare è divenuta obsoleta qualsiasi tipo di difesa armata e che bisogna rinunciarvi. Se per difesa intendiamo la salvaguardia della vita e dei beni di una Nazione. Lei che ne pensa? Gaccione sostiene che bisogna avviare il disarmo unilaterale senza contropartita, come ha fatto lo Stato del Costa Rica che nel libro è citato come esempio. Procedere allo scioglimento dell’esercito e riconvertire a scopi sociali la spesa militare. Per esempio, investendo nella sanità pubblica, nella strumentazione e nella ricerca. Suggerisce di spostare i militari delle tre armi nei settori della tutela del territorio, e molte altre idee preziose.

Agnoletto. La riflessione dello scrittore Angelo Gaccione mi sembra estremamente importante e profonda. Il punto è che in questo momento siamo molto lontani dalla situazione auspicata. Nel 2020 sono stati spesi oltre 2000 miliardi di dollari per investimenti militari e vi ricorderete che alla COP26 è stato molto complicato lavorare attorno a un accordo per assicurare solo 100 miliardi per una transizione ecologica dei paesi del Sud del mondo. Si è in tal modo, resa evidente un’assenza di consapevolezza totale attorno a questo tema. Consideriamo che nel pianeta, in questo momento, ci sono circa 13.000 armi nucleari e consideriamo che noi siamo tra quei paesi che ospitano alcune decine di testate nucleari degli Usa. Credo che la garanzia di non utilizzare le bombe nucleari sia una garanzia che non ci può lasciare tranquilli. Perché quando due paesi sono in guerra, iniziano il conflitto con le armi convenzionali, ma se uno dei contendenti rischia di soccombere e ha a disposizione l’arma nucleare, è possibile e probabile che decida di farvi ricorso. D’altra parte, abbiamo già visto come, nonostante tutte le convenzioni internazionali, le grandi potenze, a cominciare dagli Stati Uniti, non hanno mai avuto problemi a usare armi chimiche e gas tossici, che sono assolutamente vietati dalle convenzioni internazionali. Mi ha molto colpito in questi giorni come l’appello chiaro e durissimo di Papa Francesco sia stato totalmente ignorato dai grandi media. Le prime pagine sono andate tutte al discorso di Draghi al meeting di Comunione e Liberazione. Delle parole di Francesco non c’era praticamente traccia, al massimo qualche trafiletto nelle pagine interne. È una cosa inedita. Prima di Francesco, qualunque cosa diceva un papa diventava l’apertura dei telegiornali, addirittura esagerando, ignorando la laicità prevista dalla nostra Costituzione. Ora siamo invece di fronte a una cancellazione e a una vera e propria rimozione e censura. Sono rimasto anche colpito da come i giovani di CL, che in un’altra epoca e con altri Papi erano definiti i papaboys, hanno pressoché ignorato le parole di Francesco, anche se all’inizio della guerra, Comunione e Liberazione aveva fatto dichiarazioni orientate alla ricerca della pace. Ma questo è un papa scomodo perché non è disponibile a giustificare in nessun modo alcuna guerra e ha puntato il dito contro coloro che dalla guerra ricavano profitti. Francesco ha reso evidente come la guerra sia il risultato di grandi interessi economici interessati al controllo delle fonti energetiche e della logistica e non siano invece causate, come viene sostenuto, dalla difesa di grandi valori e ideali. Inoltre, ci dovrebbe preoccupare molto che lo schema della guerra, la logica amico/nemico, sia ormai applicata a qualunque settore della società. È quanto è avvenuto, ad esempio, in occasione della pandemia. In guerra si deve, tacere, obbedire e combattere. Non si può discutere, non si possono sollevare interrogativi. Questo rischia di essere il modello attorno al quale, oggi, viene costruita la nostra società. In questa condizione, credo che sia importante riprendere quelle tematiche che, per parlare della mia esperienza personale, stavano, ad esempio, alla base del movimento pacifista dei primi anni ’80. Penso alle grandi manifestazioni a Comiso alle quali ho partecipato nel 1983 contro l’installazione dei missili; un movimento pacifista in grado di praticare forme di disobbedienza civile. È necessario riprendere queste pratiche. In prospettiva, guardando ad un futuro purtroppo oggi lontano, dovremmo lavorare per una difesa civile nonviolenta – su questo mi sembra che ci sia un contributo interessante di Gaccione – che si fondi sull’attivismo e la difesa delle reti sociali presenti sul territorio. Alcune esperienze storiche possono esserci di riferimento, ma certamente è un percorso lungo, complesso che va attualizzato nella condizione odierna.

Tussi. Sarebbe favorevole allo scioglimento della Nato? Gaccione scrive che dopo la fine del Patto di Varsavia, della Cortina di Ferro e con la caduta del Muro di Berlino, la Nato non ha più senso ed è divenuta un grave pericolo per la pace. Va eliminata, secondo lui. L’Italia dovrebbe uscire unilateralmente dalla Nato e chiudere le basi dove sono ospitate testate nucleari.

Agnoletto. Posso solo dire che sono totalmente d’accordo sullo scioglimento della Nato. L’azione che la Nato sta portando avanti in questi anni è addirittura in contrasto con il motivo stesso che ne giustificò la nascita. La Nato, infatti, era stata presentata come uno strumento di difesa dei territori europei all’epoca della guerra fredda. La situazione è totalmente cambiata: credo che si sia persa una grande opportunità, cioè la Nato andava sciolta contestualmente alla fine del Patto di Varsavia. Il non aver fatto questo, ne ha permesso la trasformazione in uno strumento militare in mano agli USA per intervenire in qualunque parte del mondo, tanto è vero che, proprio in questi ultimi mesi, sta potenziando la sua presenza nel Pacifico, seppure sotto una diversa sigla. Inoltre, il mancato scioglimento della Nato rende impossibile la formazione di un protagonismo autonomo sulla scena mondiale da parte dell’Unione Europea. Ha bloccato un’emancipazione dell’Unione Europea da una condizione di dipendenza dagli Stati Uniti, ad un soggetto capace di svolgere una propria azione autonoma e indipendente, che sappia pesare nel mondo a cominciare per esempio del Medioriente, dove l’Unione Europea, nonostante la vicinanza geografica, è totalmente priva di una propria strategia. Sono d’accordo che dobbiamo uscire dalla Nato – meglio sarebbe scioglierla – e che vanno chiuse tutte le sue basi militari presenti sul nostro territorio a cominciare da quelle che ospitano le testate nucleari…
Segue su ODISSEA

L’articolo è stato pubblicato su Unimondo il 23 settembre 2022

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