Diritti umani

Riflessioni sul rapporto 2008 di NtC

31 luglio 2008
31 luglio 1944
Ultimo volo del Piccolo Principe

I
Il problema fondamentale per noi abolizionisti è che, al contrario della tortura, la pena di morte non è vietata dalle norme internazionali. Nonostante gli sforzi decennali delle Nazioni Unite la pena capitale è ancora una sanzione legale ed è per questo che andrebbe maneggiata con cautela. Questo è il motivo per cui, al di fuori dell’Italia, la recente Risoluzione sulla moratoria delle esecuzioni non è stata presa in considerazione. Perché le norme internazionali ne restringono l’uso ai “most serious crimes”, la proibiscono per i minorenni, i pazzi e le donne incinta, ne chiedono la futura abolizione, ma non la vietano e quindi la pena capitale è, fuori dall’Europa, perfettamente legittima.
Per di più, nella Risoluzione del 18 dicembre, non ci sono riferimenti a quelle precedenti (la 2857 del 1971, la 32/61del 1977, ecc.) né al Secondo Protocollo. Non si parla dell’Articolo 6 dell’ICCPR e del suo commento. Si tace sulle norme abolizioniste europee e sul fatto che la pena capitale non è prevista dai tribunali internazionali. Infine era il caso di far notare che il 18 dicembre del 1865 gli Stati Uniti hanno abolito la schiavitù e che, lo stesso giorno del 1969, il Regno Unito la pena di morte.
[La pena di morte e le Nazioni Unite]

II
Secondo NtC la moratoria sarebbe un prerequisito indispensabile per l’abolizione, ma l’esempio del Sud Africa non funziona perché l’abolizione in paesi normali come Canada, Francia, Regno Unito, ecc non è stata preceduta da una formale moratoria delle esecuzioni. Al contrario è stata la spinta verso l’abolizione che le ha fermate nel periodo in cui i Parlamenti votavano le leggi abolizioniste. D’altra parte l’interruzione delle esecuzioni non è necessariamente seguita dalla fine del patibolo e non sono pochi gli stati americani che hanno ripreso le esecuzioni dopo decenni di sospensione. Il Tennessee dopo quarant’anni, il Sud Dakota dopo sessanta e ora è il New Hampshire (che nel 2000 era a un passo dall’abolizione) che tenta di ottenere la sua prima condanna a morte dal 1939.

III
Questa faccenda della Moratoria si basa su di un non dimostrato assunto pannelliano secondo cui i paesi mantenitori non stavano nella pelle all’idea di sospendere le esecuzioni. Secondo Pannella la Moratoria era:

un compromesso creativo con la pena di morte, un luogo di incontro, il minimo comune denominatore tra abolizionisti e mantenitori: i paesi che la hanno abolita fanno un passo verso coloro che ancora la prevedono nelle leggi e la praticano, i paesi che la mantengono e la praticano fanno un passo verso gli abolizionisti e, pur mantenendola nei codici, decidono di non eseguirla.

Il martirologio di NtC secondo cui per anni “è stato impedito alle Nazioni Unite di proclamare la moratoria” si basa sulla totale rimozione dell’Emendamento Singapore.
In effetti, nel 1994 e nel 1999, la strategia pannelliana parve funzionare. Alle Nazioni Unite i paesi forcaioli si mostrarono disposti ad approvare un documento in cui si proponeva una sospensione delle esecuzioni. Purtroppo lo avrebbero votato solo se questo avesse contenuto il famoso “Emendamento Singapore”. Ovvero: i forcaioli votavano una Risoluzione che non valeva nulla e non li obbligava a nulla, ma intanto ci infilavano dentro la perentoria affermazione dell’assoluta sovranità statale in materia di pene e punizioni. Per fortuna i paesi abolizionisti mandarono tutto all’aria con grande furore dei Caini che, oggi, gioiscono del “superamento del principio ottocentesco della sovranità assoluta dello Stato-Nazione” e della sconfitta degli “emendamenti sulla sovranità interna”, cioè di quell’Emendamento Singapore che, un tempo, gli andava benissimo.

Nota
L’Emendamento Singapore avrebbe fatto fare un enorme passo indietro alla difesa dei diritti umani ed alla lotta alla pena di morte. In esso infatti si affermava che “ogni stato ha il pieno diritto di scegliere il suo sistema politico, sociale ed economico senza interferenze esterne” e che “l’articolo 7/2 dello statuto delle Nazioni Unite vieta esplicitamente l’interferenza di queste nelle matterie che sono di giurisdizione interna”  [Amnesty International ACT 53/005/1999 e ACT 53/004/1999; BBC News November 18, 1999; William Schabas The Abolition of the Death Penalty in International Law. Cambridge UP 1997 p 188]

IV
Per fortuna la fine della pena di morte marcia sulle gambe del Movimento Abolizionista e non su quelle di NtC. Gli abolizionisti, moratoria o non moratoria, portano avanti la loro lotta e la pena di morte continua a scomparire dai codici. Amnesty International tiene nota, dal 1976, del passaggio dei paesi all’abolizionismo e non si nota alcuna influenza delle “battaglie radicali” in questo progredire. Ne risulta che la recente vittoria alle NU è dovuto al lavoro di decine di organizzazioni e non alla affabulazione pannelliana.
[Amnesty International]

V
Infine, per NtC:

la soluzione definitiva del problema, più che la pena di morte, riguarda la Democrazia, lo Stato di Diritto, la promozione e il rispetto dei diritti politici e delle libertà civili.

Questa sconcertante affermazione è il prodotto della mancanza di una seria riflessione sulla natura dei diritti umani: cioè dei diritti elencati agli articoli 2-21 della Dichiarazione Universale. Lo stato di diritto non necessariamente li tutela e, se è vero che una dittatura non può (per definizione) rispettarli, questo non significa che lo faccia una democrazia: basta guardare come agisce Israele con gli arabi.
Tutti dovrebbero meditare sul fatto che le democrazie classiche cui siamo soliti fare riferimento (Atene di Pericle, Inghilterra del 1688, Stati Uniti di fine ‘700) erano regimi schiavisti, imperialisti, aggressivi, non alieni dal genocidio, poco o nulla tolleranti nei confronti dei dissidenti e ben poco democratici, visto che la stragrande maggioranza degli uomini e tutte le donne non avevano diritto di voto. La storia è piena di democratiche violazioni dei diritti umani e gli estensori della Dichiarazione del 1948 ebbero l’accortezza di non citare mai la parola democrazia, come del resto non fecero parola della pena capitale.
Comunque l’abolizione della pena di morte è raramente un fatto democratico. Anche il recente abolizionista New Jersey non è tale per volere della maggioranza, se per maggioranza s’intende quella che scaturisce dai sondaggi d’opinione naturalmente, ma di una riflessione più profonda.
I forcaioli americani e sauditi accusano noi europei di non essere democratici proprio perché non diamo ascolto alla sete di sangue di una presunta opinione pubblica e seguitiamo a esigere che il rispetto dei diritti umani e della giustizia non dipenda dal volere di una maggioranza occasionale.
La legge sarà anche applicata in nome del popolo, ma deve essere soprattutto uguale per tutti e cosa c’è di più democratico di un bel linciaggio?

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Corte giustizia internazionale ferma esecuzioni USA

di Rico Guillermo*

La settimana scorsa la Corte internazionale di giustizia ha aderito alla richiesta del Messico di emettere un ordine di sospensione dell’esecuzione di cinque cittadini messicani nel braccio della morte negli Stati Uniti.
Il Messico aveva chiesto alla piu’ alta corte delle Nazioni Unite di intervenire perché gli USA non hanno rispettato una precedente sentenza della Corte che ordinava un’audizione per esaminare le prove dei cittadini messicani.
La Corte mondiale ha stabilito nel 2004 che gli Stati Uniti avevano violato la Convenzione di Vienna del 1963 sulle relazioni consolari, perché non avevano fornito ai Messicani detenuti l’accesso ai funzionari consolari del loro Paese d’origine del loro processo. La CIG ha dichiarato che le condanne penali e condanne a morte di 51 detenuti nel braccio della morte necessitava un’ulteriore revisione.
Il Presidente Bush ha riconosciuto la sentenza della CIG e ha ordinato ai giudici statali di riesaminare il caso. Il Texas, tuttavia, ha rifiutato, e la questione del potere del Presidente e’ arrivata alla Corte Suprema degli Stati Uniti.
Jose Medellin, uno dei detenuti nel braccio della morte in Texas ha fatto ricorso alla Corte Suprema degli Stati Uniti per far rispettare la sentenza della CIG e la decisioine del presidente. La Suprema Corte ha respinto il ricorso il 25 marzo 2008, affermando che Bush aveva oltrepassato i suoi poteri. Il parere dichiarava che la Costituzione “consente al Presidente di eseguire le disposizioni legislative, non farle”.
L’attuale pregiudiziale, proposta dal CIG viene meno di tre settimane prima che il primo di questi detenuti, Medellin, sia giustiziato in Texas. Il Segretario di Stato Condoleezza Rice e il Procuratore generale Michael Mukasey hanno chiesto congiuntamente al governatore del Texas Rick Perry di riesaminare il caso di Medellin. Inoltre, e’ stato presentato al Congresso un progetto di legge che consentirebbe una via d’uscita per coloro i cui diritti stabiliti dalla Convenzione di Vienna sono stati violati.
* si ringrazia Claudio Giusti

in Osservatorio sulla legalita’, 20 luglio 2008

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Palestina: il giornalista Mohammed Omer viene premiato e poi pestato

Traduzione di Giuseppina Manfredi

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Mohammed Omer è un giornalista ventiquattrenne di Rafah, nella Striscia di Gaza. I suoi notevoli foto-reportage gli sono valsi il prestigioso premio Martha Gellhorn, ricevuto qualche settimana fa. Al suo rientro da Londra, però, Omer è stato arrestato dai servizi segreti israeliani (Shin Beit), per poi riapparire l’indomani a bordo di un’ambulanza. Gli agenti israeliani hanno ammesso di averlo trattenuto per “contrabbando”, riferendo altresì come le sue ferite non fossero altro che conseguenza di una “caduta accidentale”. Le foto che documentano il ricovero di Omer in ospedale hanno suscitato rabbia e preoccupazione tra i blogger.

Tra i primi a commentare la notizia DesertPeace, che si dice furioso per il mancato risalto dato dai media a quest’episodio di cronaca:

Una settimana fa, il mio caro amico e fratello Mohammed Omer è stato torturato e quasi pestato a MORTE dai funzionari dei servizi di sicurezza israeliani.
Questa settimana, due bambini palestinesi sono stati uccisi a sangue freddo dalle forze armate israeliane. Altri otto sono stati feriti.
Avete letto qualcosa al riguardo tra i lanci della Associated Press?
NO!

Il blogger rimanda anche al podcast con un’intervista a Omer.
Tra i successivi commenti, spicca quello di David Baldinger :

Il coraggio di Omer è encomiabile. Al posto suo, io non avrei retto ad un simile trattamento. Anche se la cosa è già di per sé grave, è altrettanto avvilente pensare come l’episodio sia seguito ai giorni felici che aveva appena trascorso all’estero. Non possiamo permettere che questa storia finisca qui: è una battaglia da portare avanti. Non c’è scusa o spiegazione che giustifichi il trattamento riservato a Omer. Magari da un evento tanto negativo si può cavare fuori qualcosa di buono. L’episodio rivela le bugie di un governo israeliano che non appare in grado di controllare le sue forze armate.

Infine, Munich – and a little bit of everything ha commentato così il podcast:

Qualcuno, dopo aver ascoltato questo documento audio, ha dichiarato che da tempo non sentiva niente di così toccante. Nel podcast infatti Mohammed Omer, dal suo letto d’ospedale, parla con Nora Barrows-Friedman di Flashpoints, trasmissione del network statunitense Pacifica Radio. Recentemente la donna gli ha fatto visita in Palestina.
Si tratta di disumanità dell’uomo verso l’uomo. C’è solo da piangere.

Qui si può firmare la petizione che chiede giustizia per Mohammed Omer.

GlobalVoice in Italiano, 20 luglio 2008

Creative Commons – Attribution 3.0 Unported

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Europei: attenzione ad investire in Texas!

di David Atwood

Il Governatore del Texas Rick Perry recentemente si e’ recato in visita in Francia ed in Svezia al fine di pubblicizzare le possibilita’ di investimento in Texas. Cio’ che il Governatore non ha detto ai cittadini europei e’ che in Texas sono state eseguite 407 condanne a morte da quando la pena capitale e’ stata reintrodotta nello Stato nel 1982. Il nostro Stato detiene il record nazionale per numero di esecuzioni avendone portate a termine quattro volte di piu’ di qualsiasi altro Stato dell’Unione.
Un’altra cosa che Perry non ha detto e’ che le condanne a morte eseguite da quando lui e’ Governatore sono state 167 (fino ad ora).
Questo numero rende Perry il Governatore che ha firmato il maggior numero di condanne a morte della storia moderna, oltrepassando persino George W. Bush, che ne aveva sottoscritte 152 durante il suo governatorato.
Quest’anno sono previste in Texas altre 13 esecuzioni ed attualmente sono 370 i detenuti rinchiusi nel braccio della morte dello Stato.
Perry, inoltre, non ha fatto menzione alle oltre 200.000 persone rinchiuse nelle prigioni texane. Il nostro tasso di incarcerazione e’ uno dei piu’ alti del mondo. L’industria carceraria texana e’ viva e vegeta.
Ne’, ancora, si e’ preso la briga di dire, il Governatore Perry, che in Texas il 23% della popolazione giovanile vive in poverta’ e che lo Stato e’ ultimo nella classifica nazionale per le assicurazioni sanitarie a favore dei minori. E’ quasi ultimo anche nella classifica degli Stati americani in termini di investimenti per la prevenzione degli abusi e degli abbandoni dei bambini. Poi, quando questi stessi bambini diventeranno adulti ed avranno problemi durante la loro vita, le istituzioni risponderanno incarcerandoli e condannandoli a morte.
Cittadini europei, Vi prego di tenere ben presente che le ambizioni politiche di Rick Perry sono le stesse che aveva Gorge W. Bush prima di lui, quando era Governatore del Texas.
Le aziende europee farebbero meglio a non investire il loro denaro in Texas fino a quando lo Stato non decidera’ di cambiare la propria politica in materia di diritti umani e di diritti dell’infanzia.
Bisogna agire!!

David Atwood – Fondatore della Texas Coalition to Abolish the Death penalty

1802 Kipling St.
Houston, Texas 77098
(832)693-5710

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Altro che spegnere la speranza

di Vincenzo Andraous

Molti hanno detto che per conoscere le fondamenta e i caratteri di una democrazia, occorre indagare anzitutto il sistema penitenziario come la misura più indicativa della civiltà di un popolo.
Da detenuto ho avuto la fortuna di conoscere un grande uomo e un grande cardinale, che mi ha  mostrato in pochi minuti come la sola ritorsione non solo è contraddetta dall’etica evangelica, ma non porta i risultati desiderati.
Da qualche tempo sul carcere italiano è calato un silenzio refrattario all’impegno dell’ascolto, una indifferenza che genera un trascinamento lontano dal dolore  e dalla sofferenza, come se dialogare sulla umanizzazione della pena fosse diventato un atto di lassismo politico e istituzionale.
Eppure il carcere è luogo deputato alla elaborazione della pena, della colpa, dove l’uomo della pena nel tempo non sarà più l’uomo della condanna, ma quale uomo potrà diventare in una condizione di perenne disagio, costretto fino alle ginocchia nel proprio malessere, e in quello dell’altro.
Un tempo il dentro e il fuori interagivano, riuscendo a edificare ponti di socializzazione, attraverso una capacità di coinvolgimento-partecipativo da parte del personale penitenziario, con impegno da parte di quel volontariato solidale perché costruttivo, basato sulla fatica dialogica e comportamentale, e con una interazione proficua e necessaria con la società tutta.
Perfino a chi disconosce la  funzione del carcere e l’utilità della pena, non può sfuggire il valore educativo del lavoro, che la stessa Costituzione pone a fondamento del nostro Stato Repubblicano: senza occasioni di lavoro, senza l’acquisizione di strumenti formativi  professionali,  il carcere come istituzione non può raggiungere gli obiettivi che gli sono richiesti, gli scopi per cui esiste nella sua utilità sociale.
In questa inquietante insicurezza, che spinge a richiedere maggiori tutele e garanzie per le vittime e i cittadini onesti, forse è proprio questo il momento di ripensare non all’abolizione della Riforma Penitenziaria, non a rendere nuovamente invisibili uomini che hanno saputo ravvedersi e tornare ad essere parte viva del consorzio sociale.
E’ necessario ripensare un carcere dove esistano veramente tempi e modi di ristrutturazione educativa, rifacendo per davvero i conti con la metà della popolazione detenuta non italiana, con un buon altro quarto di tossicodipendenti, mentre la rimanenza è quella criminalità che ben conosciamo.
Riforme e innovazioni non sono istituti-totem da imbalsamare, ma vista prospettica per rispondere efficacemente alla richieste della collettività, che si duole di una recidiva che permane un mostro a due facce: una dimostra che la pena non aiuta a migliorare le persone, l’altra che il carcere non si riappropria della funzione di salvaguardia della comunità.
Altro che ammazzare la speranza annullando la legge Gozzini, è urgente trasformare l’ozio e un tempo pericolosamente bloccato in occasioni di lavoro e abitudine alla fatica progettuale, affinché il rispetto per la dignità personale divenga qualcosa da guadagnarsi durante l’arco della condanna, proprio perché quella speranza di essere uomini  migliori dipenderà dal lavoro che ognuno di noi sarà disponibile a fare con se stesso.

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