Diritti umani

Corte giustizia internazionale ferma esecuzioni USA

di Rico Guillermo*

La settimana scorsa la Corte internazionale di giustizia ha aderito alla richiesta del Messico di emettere un ordine di sospensione dell’esecuzione di cinque cittadini messicani nel braccio della morte negli Stati Uniti.
Il Messico aveva chiesto alla piu’ alta corte delle Nazioni Unite di intervenire perché gli USA non hanno rispettato una precedente sentenza della Corte che ordinava un’audizione per esaminare le prove dei cittadini messicani.
La Corte mondiale ha stabilito nel 2004 che gli Stati Uniti avevano violato la Convenzione di Vienna del 1963 sulle relazioni consolari, perché non avevano fornito ai Messicani detenuti l’accesso ai funzionari consolari del loro Paese d’origine del loro processo. La CIG ha dichiarato che le condanne penali e condanne a morte di 51 detenuti nel braccio della morte necessitava un’ulteriore revisione.
Il Presidente Bush ha riconosciuto la sentenza della CIG e ha ordinato ai giudici statali di riesaminare il caso. Il Texas, tuttavia, ha rifiutato, e la questione del potere del Presidente e’ arrivata alla Corte Suprema degli Stati Uniti.
Jose Medellin, uno dei detenuti nel braccio della morte in Texas ha fatto ricorso alla Corte Suprema degli Stati Uniti per far rispettare la sentenza della CIG e la decisioine del presidente. La Suprema Corte ha respinto il ricorso il 25 marzo 2008, affermando che Bush aveva oltrepassato i suoi poteri. Il parere dichiarava che la Costituzione “consente al Presidente di eseguire le disposizioni legislative, non farle”.
L’attuale pregiudiziale, proposta dal CIG viene meno di tre settimane prima che il primo di questi detenuti, Medellin, sia giustiziato in Texas. Il Segretario di Stato Condoleezza Rice e il Procuratore generale Michael Mukasey hanno chiesto congiuntamente al governatore del Texas Rick Perry di riesaminare il caso di Medellin. Inoltre, e’ stato presentato al Congresso un progetto di legge che consentirebbe una via d’uscita per coloro i cui diritti stabiliti dalla Convenzione di Vienna sono stati violati.
* si ringrazia Claudio Giusti

in Osservatorio sulla legalita’, 20 luglio 2008

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Palestina: il giornalista Mohammed Omer viene premiato e poi pestato

Traduzione di Giuseppina Manfredi

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Mohammed Omer è un giornalista ventiquattrenne di Rafah, nella Striscia di Gaza. I suoi notevoli foto-reportage gli sono valsi il prestigioso premio Martha Gellhorn, ricevuto qualche settimana fa. Al suo rientro da Londra, però, Omer è stato arrestato dai servizi segreti israeliani (Shin Beit), per poi riapparire l’indomani a bordo di un’ambulanza. Gli agenti israeliani hanno ammesso di averlo trattenuto per “contrabbando”, riferendo altresì come le sue ferite non fossero altro che conseguenza di una “caduta accidentale”. Le foto che documentano il ricovero di Omer in ospedale hanno suscitato rabbia e preoccupazione tra i blogger.

Tra i primi a commentare la notizia DesertPeace, che si dice furioso per il mancato risalto dato dai media a quest’episodio di cronaca:

Una settimana fa, il mio caro amico e fratello Mohammed Omer è stato torturato e quasi pestato a MORTE dai funzionari dei servizi di sicurezza israeliani.
Questa settimana, due bambini palestinesi sono stati uccisi a sangue freddo dalle forze armate israeliane. Altri otto sono stati feriti.
Avete letto qualcosa al riguardo tra i lanci della Associated Press?
NO!

Il blogger rimanda anche al podcast con un’intervista a Omer.
Tra i successivi commenti, spicca quello di David Baldinger :

Il coraggio di Omer è encomiabile. Al posto suo, io non avrei retto ad un simile trattamento. Anche se la cosa è già di per sé grave, è altrettanto avvilente pensare come l’episodio sia seguito ai giorni felici che aveva appena trascorso all’estero. Non possiamo permettere che questa storia finisca qui: è una battaglia da portare avanti. Non c’è scusa o spiegazione che giustifichi il trattamento riservato a Omer. Magari da un evento tanto negativo si può cavare fuori qualcosa di buono. L’episodio rivela le bugie di un governo israeliano che non appare in grado di controllare le sue forze armate.

Infine, Munich – and a little bit of everything ha commentato così il podcast:

Qualcuno, dopo aver ascoltato questo documento audio, ha dichiarato che da tempo non sentiva niente di così toccante. Nel podcast infatti Mohammed Omer, dal suo letto d’ospedale, parla con Nora Barrows-Friedman di Flashpoints, trasmissione del network statunitense Pacifica Radio. Recentemente la donna gli ha fatto visita in Palestina.
Si tratta di disumanità dell’uomo verso l’uomo. C’è solo da piangere.

Qui si può firmare la petizione che chiede giustizia per Mohammed Omer.

GlobalVoice in Italiano, 20 luglio 2008

Creative Commons – Attribution 3.0 Unported

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Europei: attenzione ad investire in Texas!

di David Atwood

Il Governatore del Texas Rick Perry recentemente si e’ recato in visita in Francia ed in Svezia al fine di pubblicizzare le possibilita’ di investimento in Texas. Cio’ che il Governatore non ha detto ai cittadini europei e’ che in Texas sono state eseguite 407 condanne a morte da quando la pena capitale e’ stata reintrodotta nello Stato nel 1982. Il nostro Stato detiene il record nazionale per numero di esecuzioni avendone portate a termine quattro volte di piu’ di qualsiasi altro Stato dell’Unione.
Un’altra cosa che Perry non ha detto e’ che le condanne a morte eseguite da quando lui e’ Governatore sono state 167 (fino ad ora).
Questo numero rende Perry il Governatore che ha firmato il maggior numero di condanne a morte della storia moderna, oltrepassando persino George W. Bush, che ne aveva sottoscritte 152 durante il suo governatorato.
Quest’anno sono previste in Texas altre 13 esecuzioni ed attualmente sono 370 i detenuti rinchiusi nel braccio della morte dello Stato.
Perry, inoltre, non ha fatto menzione alle oltre 200.000 persone rinchiuse nelle prigioni texane. Il nostro tasso di incarcerazione e’ uno dei piu’ alti del mondo. L’industria carceraria texana e’ viva e vegeta.
Ne’, ancora, si e’ preso la briga di dire, il Governatore Perry, che in Texas il 23% della popolazione giovanile vive in poverta’ e che lo Stato e’ ultimo nella classifica nazionale per le assicurazioni sanitarie a favore dei minori. E’ quasi ultimo anche nella classifica degli Stati americani in termini di investimenti per la prevenzione degli abusi e degli abbandoni dei bambini. Poi, quando questi stessi bambini diventeranno adulti ed avranno problemi durante la loro vita, le istituzioni risponderanno incarcerandoli e condannandoli a morte.
Cittadini europei, Vi prego di tenere ben presente che le ambizioni politiche di Rick Perry sono le stesse che aveva Gorge W. Bush prima di lui, quando era Governatore del Texas.
Le aziende europee farebbero meglio a non investire il loro denaro in Texas fino a quando lo Stato non decidera’ di cambiare la propria politica in materia di diritti umani e di diritti dell’infanzia.
Bisogna agire!!

David Atwood – Fondatore della Texas Coalition to Abolish the Death penalty

1802 Kipling St.
Houston, Texas 77098
(832)693-5710

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Altro che spegnere la speranza

di Vincenzo Andraous

Molti hanno detto che per conoscere le fondamenta e i caratteri di una democrazia, occorre indagare anzitutto il sistema penitenziario come la misura più indicativa della civiltà di un popolo.
Da detenuto ho avuto la fortuna di conoscere un grande uomo e un grande cardinale, che mi ha  mostrato in pochi minuti come la sola ritorsione non solo è contraddetta dall’etica evangelica, ma non porta i risultati desiderati.
Da qualche tempo sul carcere italiano è calato un silenzio refrattario all’impegno dell’ascolto, una indifferenza che genera un trascinamento lontano dal dolore  e dalla sofferenza, come se dialogare sulla umanizzazione della pena fosse diventato un atto di lassismo politico e istituzionale.
Eppure il carcere è luogo deputato alla elaborazione della pena, della colpa, dove l’uomo della pena nel tempo non sarà più l’uomo della condanna, ma quale uomo potrà diventare in una condizione di perenne disagio, costretto fino alle ginocchia nel proprio malessere, e in quello dell’altro.
Un tempo il dentro e il fuori interagivano, riuscendo a edificare ponti di socializzazione, attraverso una capacità di coinvolgimento-partecipativo da parte del personale penitenziario, con impegno da parte di quel volontariato solidale perché costruttivo, basato sulla fatica dialogica e comportamentale, e con una interazione proficua e necessaria con la società tutta.
Perfino a chi disconosce la  funzione del carcere e l’utilità della pena, non può sfuggire il valore educativo del lavoro, che la stessa Costituzione pone a fondamento del nostro Stato Repubblicano: senza occasioni di lavoro, senza l’acquisizione di strumenti formativi  professionali,  il carcere come istituzione non può raggiungere gli obiettivi che gli sono richiesti, gli scopi per cui esiste nella sua utilità sociale.
In questa inquietante insicurezza, che spinge a richiedere maggiori tutele e garanzie per le vittime e i cittadini onesti, forse è proprio questo il momento di ripensare non all’abolizione della Riforma Penitenziaria, non a rendere nuovamente invisibili uomini che hanno saputo ravvedersi e tornare ad essere parte viva del consorzio sociale.
E’ necessario ripensare un carcere dove esistano veramente tempi e modi di ristrutturazione educativa, rifacendo per davvero i conti con la metà della popolazione detenuta non italiana, con un buon altro quarto di tossicodipendenti, mentre la rimanenza è quella criminalità che ben conosciamo.
Riforme e innovazioni non sono istituti-totem da imbalsamare, ma vista prospettica per rispondere efficacemente alla richieste della collettività, che si duole di una recidiva che permane un mostro a due facce: una dimostra che la pena non aiuta a migliorare le persone, l’altra che il carcere non si riappropria della funzione di salvaguardia della comunità.
Altro che ammazzare la speranza annullando la legge Gozzini, è urgente trasformare l’ozio e un tempo pericolosamente bloccato in occasioni di lavoro e abitudine alla fatica progettuale, affinché il rispetto per la dignità personale divenga qualcosa da guadagnarsi durante l’arco della condanna, proprio perché quella speranza di essere uomini  migliori dipenderà dal lavoro che ognuno di noi sarà disponibile a fare con se stesso.

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Perche’ censire cittadini italiani… solo perche’ rom?

di Francesca Zajczyk

Ma è un sogno – un brutto sogno – quello che sta succedendo oggi sotto i nostri occhi? E’ possibile che in Italia, a Roma, a Milano succedano cose impensabili fino a pochissimo tempo fa senza che nessuno alzi una voce, quantomeno esprima “forte preoccupazione”?

Qualche lamento gira sulla rete; ma sono lamenti che non riescono a trasformarsi in “voce pubblica”. I fatti: censimento fotografico e schedatura di polizia per cittadini Italiani questa mattina, 6 giugno, all’alba delle 5.00 presso il campo comunale di via Impastato a Milano.
Si tratta di un campo regolare, i cui abitanti – in Italia e a Milano dal 1943 provenienti dalla Slovenia – risultano all’anagrafe del Comune in quanto residenti a Milano. Quindi, si tratta di cittadini italiani; non solo: tra i cittadini italiani del campo c’è anche chi ha patito la persecuzione nazifascista con l’internamento in campo concentramento e chi ha meritato la medaglia d’oro al valore civile.
Tralasciando di commentare il metodo: alle 5.00 del mattino, cogliendo nel sonno bambini, anziani, come pericolosi criminali di cui si deve impedire la fuga, ciò che più inquieta è che queste persone (e sottolineo il termine) vengono schedate in quanto appartenenti ad un gruppo etnico.
Qualche sera fa Massimo Cacciari – a proposito della vicenda per certi versi analoga che si sta verificando a Venezia nei confronti di un gruppo di cittadini italiani sinti residenti nel nostro paese da più di dieci anni – richiamava l’attenzione con grande preoccupazione su quanto possa essere pericolosa questa strada che richiama (e nessuno-nessuno può negare fatti di storia) accaduti purtroppo non molti decenni orsono.
Ricordare per non dimenticare scrive Giorgio Bezzecchi.
Sono passati sessant’anni dalla promulgazione delle leggi razziali e dalla pubblicazione della rivista “La difesa della razza” di Guido Landra e dei primi rastrellamenti che sfociarono dopo un breve periodo di tempo in un ordine esplicito di “internamento degli zingari italiani” in campi di concentramento (Circ.Bocchini 27/04/41)
Per non dimenticare, ma anche per sapere che, legittimando queste procedure diventa difficile prevederne il processo.
Tutto in nome della sicurezza. Il tema della sicurezza oggi “impone” la paura di schierarsi e quindi il silenzio.
Ma in nome della sicurezza non si possono ledere i diritti dei cittadini, di cittadini italiani regolarmente iscritti all’anagrafe della nostra città, che lavorano e mandano i bambini a scuola, come altri cittadini italiani (anche se non tutti… ricordate la questione della dispersione scolastica?), ma con il grave peccato originale di essere etnicamente diversi.

Brividi…
Dobbiamo avere il coraggio di rifiutare questo opportunismo del discorso pubblico, dobbiamo contribuire a far conoscere una realtà assolutamente sconosciuta relativa ad una popolazione di 130-150.000 mila persone, di cui circa il 50% ha la cittadinanza italiana con una quota ampiamente sotto il 10% che pratica ancora qualche forma di nomadismo.

Come si fa a parlare di bullismo, di educazione dei piccoli e dei giovani alla convivenza, alla solidarietà? Apriamo gli occhi e la bocca.

Il paese delle donne, 9 giugno 2008

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