La speranza

Lettera 128
di Ettore Masina

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Fine d’anno 2007: mentre cerchiamo di rendere le nostre case più allegre e festose, con sorrisi di parenti e di amici e voci di bambini, la cronaca appende ai nostri alberi di Natale certificati di comparizione in tribunale e bollettini medici di prognosi riservata. Provo a elencare: a Bali, ancora una volta, Wall Street e Bush hanno deciso che la Terra può andare in malora purché l’industria americana non debba ridimensionare i suoi profitti; in non poche nazioni, compresa la nostra, i sistemi politici sembrano da rottamare per eccesso di astuzie (o credute tali); la società italiana – ci avverte autorevolmente il Censis – è ormai mucillaginosa, cioè disgregata e confusa; nel nostro paese riprendono slancio gli amanti del nucleare, eccetera eccetera. Fatti incontrovertibili, descrizioni dell’oggi, impietose ma non esagerate; e tuttavia c’è di peggio, a me sembra, e il peggio riguarda il futuro: da cattedre molto autorevoli veniamo avvertiti che la speranza è una patologia mentale se non porta un bollino di garanzia da esse rilasciato. Nella sua recente enciclica il Papa esclude che le speranze umane abbiano un vero valore se non si fondano in Cristo, e – forse senza saperlo – Salman Rushdie, scrittore fra i più importanti della nostra epoca, gli risponde che le speranze proposte da quelli che egli sprezzantemente definisce “i preti” sono inganni micidiali e pesti fondamentaliste.
Il messaggio che si ricava da questi interventi è dunque che la speranza sine glossa – quella dei bambini, degli analfabeti, dei poveri, dei poeti, degli atei (tali per estenuazione, per scandalo o, più semplicemente perchè nessuno gli ha mai parlato di Dio), – è stupidità, miopia culturale o rimbambimento. Che ve ne pare?

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Il profeta dell’innovazione

E’ uscita una biografia di Joseph Schumpeter, dal titolo “Il profeta dell’innovazione” per i tipi di Mc Graw, l’autore è Thomas K. Mc Craw, profesore emerito di business history alla Harvard Business School. Il libro si fa apprezzare per essere la prima biografia sull’economista austriaco. Nell’interpretazione dell’autore forse prevale un eccessivo accento sugli aspetti di esagetici del capitalismo, mentre rimane sottovalutato il debito verso il pensiero marxiano. La ricchezza ed il dettagli di notizie ne fa comunque una lettura preziosa per chi ancora voglia interessarsi alla analisi del capitalismo. Una lettura da condurre in parallelo con la biografia di Keynes, consiglio Robert Skidelsky, John Maynard Keynes, Bollati Boringhieri 1989, a mio avviso più puntuale e meno agiografica delle altre. Questo per consentire e costruire un parallelo fra due grandi del pensiero economico del novecento.
Grandi quanto diversi fra loro. Sotto il profilo psicologico, tombeur de femmes Schumpeter spesso in preda a profondi stati depressivi, gay il secondo, sempre in controllo dei propri stati d’animo. Lo sguardo analitico radicato nel lungo periodo di Schumpeter, si scontra con la famosa sentenza keynesiana, che ci da’ tutti morti nel lungo periodo. Eppure nonostante queste differenze, li unisce una straordinaria convergenza nei giudizi di alcuni passaggi cruciali dell’epoca.
Del lavoro su Schumpeter, segue una traduzione parziale del capitolo che McCraw dedica all’esperienza governativa di cui il nostro fu protagonista per alcuni mesi del 1919.

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Accenni di riflessione su Luttazzi, la satira, la società

Pochi, sparsi appunti sulla vicenda Decameron…

Personalmente mi sembra che pochi siano stati in grado di visualizzare bene questa vicenda.

Intendo dire che:

La pubblica opinione non ha ben chiaro (come del resto non lo ha mai avuto nella storia) il concetto stesso di satira. Chiunque abbia letto Catullo, Orazio, Rabelais, Molière, Boccaccio eccetera (e non quello che fanno leggere a scuola, per intenderci, che è molto più che edulcorato) si accorgerebbe che Luttazzi non è per nulla uscito dal seminato. Anzi. Si trattava di satira di elevato livello intellettuale (non commento quello artistico che poco mi interessa qui ed è comunque secondario dato che in ogni arte ci sono opere più o meno riuscite).

Per questo in tanti neppure hanno colto i riferimenti, cosi come non hanno colto quelli alla satira classica, cosi come a Bergman a Lenny Bruce, ai Monty Pyhton e via dicendo. Onnipresenti in ogni puntata.

Per questo il riferimento alle immagini di tortura, alle immagini coprofile provenienti da Abu Grahib sono dovute arrivare in un secondo tempo, e non sono arrivate da sé. Cosi difficile forse ricordarsele oppure si tratta proprio di una rimozione sociale?

Il problema dunque sembra essere altrove. Da un lato nella mancata conoscenza del genere da parte del pubblico. E qui credo che il sistema educativo e mediatico abbia avuto un forte influsso. E dovremmo rifletterci.

Da un altro lato invece metterei una certa tendenza all’estremizzazione del politically correct. Tendenza questa importata dagli USA che, di fatto, taglia fuori la satira di netto da ogni palcoscenico pubblico di grande dimensione. E qui diventa forse anche una questione di libertà prima non posta e ormai di scottante attualità.

Inoltre fatico a nascondere come il modo in cui la sospensione del programma è stata fatta. Informare il conduttore per sms non mi pare corretto, non mi pare corretto neppure censurare la notizia sul telegiornale di rete cosi come l’eliminare le informazioni presenti sul sito web o il girato precedente. Se lecita era la scelta, il metodo mi è sembrato eccessivo e capace di sollevare dubbi più che giustificati. E solo qui interviene un fattore che possiamo definire rilevante non dalla censura, quanto piuttosto dal genere della Damnation memoriae. Ancora più inquietante forse.

Da qui la necessità di intraprendere una riflessione che non si limiti al caso specifico, ma che lo travalichi per arrivare veramente laddove questa vicenda ha scoperto il nervo sociale.

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