Un cagnolino bene ammaestrato

14 luglio 2007
14 luglio 1976
Il Canada abolisce la pena di morte.

A sentire certa gente il Movimento Abolizionista dovrebbe essere un cagnetto bene educato che scodinzola a comando. Secondo alcuni recenti commenti chi è contro la pena di morte avrebbe il dovere di commentare ogni condanna a morte e dovrebbe passare il tempo a stigmatizzare ogni notizia di esecuzione. In pratica dovremmo essere come un cagnolino ammaestrato.

Questi rimproveri arrivano da gente che non ci prende minimamente in considerazione. Gente che non ha mai pubblicizzato le nostre campagne: non ha mai pubblicato le nostre lettere, le nostre denuncie e i nostri documenti. Gente che se-ne-stra-frega della pena di morte e delle azioni fatte PRIMA delle esecuzioni. Gente che non ci ha mai aiutato.

Non sono solito essere tenero con il Movimento Abolizionista e le sue mancanze e non ho mai avuto problemi nel dire quello che penso di certe persone e organizzazioni, ma sentire i giornalisti italiani che ci accusano per non avere fatto qualcosa supera di gran lunga le mie, già scarse, capacità di sopportazione.

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Deifobe di Marisa Lepore

Tracce di Silvana Liotti 4 -18 maggio 2005

Deifobe tecnica mista su carton gesso 2 pezzi cm 70 x 200    2005
Virago I tecnica mista su carta cm 70 x 160            2005
Virago II tecnica mista su carta cm 70 x 160            2005

Tra letteratura, antropologia e storia, il mito della Sibilla giunge a noi sotto il peso di un femminino arcano, misterioso e misterico. In origine connesse con Dioniso e l’orfismo, poi con l’ambiente di Delphi, le Sibille, sacerdotesse di Apollo con il dono del vaticinio, ne hanno diffuso il culto oltre l’ambiente orientale.
Presumibilmente nata a Jonia, nell’Asia Minore, appartenente ai Cimmeri, popolazione scitica delle steppe eurasiche a nord del Mar Morto, la Sibilla Cumana, giunta in Italia prima della guerra di Troia, è qui conosciuta anche con il nome di Deifobe, di virgiliana memoria.
La leggenda la vuole concupita da Apollo per la sua avvenenza e, superba, a lui concessasi inavvedutamente in cambio di un’immortalità divenuta poi, crudelmente, vecchiezza fino alla consunzione, fino alla riduzione alla sola voce, metafora della sua stessa funzione profetante.
Tra oriente e occidente, tra umano e divino, tra passato e futuro, la “Deifobe” di Silvana Liotti è assunta a donna possente e misteriosa, moderna e futurista, androgina e bivalente, stratificata e complessa, divisa fino alla frattura. Il mito, percorso nella memoria, viene introiettato, attualizzato e proiettato indiscindibilmente verso il futuro.
L’artista dà corpo e possanza alla metafora e alla leggenda. Protegge, difende e rafforza la frattura, raddoppiando l’immagine della Sibilla in due parti asimmetriche, in una dominante il pube e nell’altra il torace. Il potere dell’istinto-passione-natura e quello del logos-gesto-azione, simbologia di quel rosso e quel blu, che ancora una volta ritornano nel segno estetico dell’artista.
Silvana/Sibilla, forza e fragilità, pensiero e passione, logos e pathos.
Alla complessità concettuale fanno riscontro, in “Deifobe”, la complessità del supporto dell’opera e la tecnica utilizzata: due carton gesso di cm 70 x 200, sui quali altra carta è impastata con acqua e vinavil. La materia è già segnata dalla qualità della propria composizione e il colore si adatta al substrato, ne segue le tracce. La gocce del colore seguono un percorso che si emancipa a tratti dal gesto dell’artista, seguendo una strada che è, in parte, aleatoria. L’artista cede alla tirannide del subtrato materico, ma, contemporaneamente, lo domina incanalando e circoscrivendo il colore con altra materia. Stratifica il substrato via via che al suo estro giungono, sommandosi, immagini delle vestigia del passato arcano, misterioso e magico della sua Sibilla, tracce impresse sulla propria femminilità.
Altera, conscia del potere femminile, divisa tra superbia e mercificazione, la Sibilla ha posto ad Apollo la sua condizione: “Fammi vivere tanti anni, quanti granelli di sabbia può contenere il palmo della mia mano.” e, dimentica di chiedere al dio anche l’eterna giovinezza, è condannata ad una funzione profetante per il tempo non più umano della sua vita.
Deifobe”, eroina moderna, insoddisfatta, si misura ed è schiacciata da una potenza superiore, più forte dei propri limiti e delle proprie aspirazioni, immagine di un bovarismo arcaico dove il potere divino ha la medesima valenza degli schemi sociali.
Silvana/Deifobe: essere e voler essere, potenza e fragilità della creazione artistica, estro e insoddisfazione, urgenza e limitazione.
La “Deifobe”, spezzata nelle due metà,  è posta, protetta in una cavità degli ambienti esterni di Batis, struttura al limite tra lo spazio contemporaneo e quello archeologico del parco di Baia. Non solo operazione didascalica: la grotta-di-tufo, cisterna, antro, diviene la soglia di un tempo e uno spazio sincronico: una voce della memoria.
Le due “Virago” sono poste una a destra, una a sinistra, a guardia di un luogo, di un’identità, di un tempo che stratifica e sovrappone. Tempo di compresenza, circolare, sincrono, dove tutto è già stato detto e tutto ancora si dice e si ridice. Custodi della memoria, anch’esse “tracce” di un tempo attualizzato. Forti, guerriere di sguardo e possanza, dipinte su carta, “pergamena-vestigia”, ma fragilmente esposte, per la durata della mostra, all’alterazione del vento, della pioggia, dell’umidità della terra e del tufo, la pietra che idealmente ne assorbirà le tracce, per conservarle e stratificarle nella sua memoria.
Tracce” rappresenta per l’artista l’autoriflessività, il doppio, la frattura, ma anche il riconoscimento di sé nell’altro. L’unità, tradita dalla reiterazione di figure e attributi, deve passare attraverso sdoppiamenti e gemmazioni, perché venga ricostruita l’identità originaria.

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