Fai la cosa giusta
di Fabio Mongardi
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di Fabio Mongardi
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Deve essere molto difficile per un medico restare in silenzio, mentre esegue un esame su un paziente e, successivamente, mentre compila il referto e la diagnosi. Deve essere davvero difficile resistere alla tentazione di lasciarsi sfuggire una frase, una parola, una sillaba, mentre il paziente è in impaziente attesa del responso. Immagino quale durissimo tirocinio avrà dovuto sostenere, lui che al bar con gli amici, in famiglia, negli incontro con i colleghi sarà senz’altro un gradevole e apprezzato conversatore. Immagino quali e quanti esami avrà dovuto inserire nel suo curricolo professionale e specialistico per apprendere le più moderne tecniche dell’afasia. Anni e anni di dura esperienza per raggiungere uno stato della mente molto prossimo alla trance. Ma forse c’è un’altra spiegazione possibile: il medico teme di lasciarsi sfuggire qualche segreto professionale che, una volta entrato in possesso del paziente, rischierebbe di esautorarlo dalle sue funzioni. D’altra parte, anche gli sciamani e gli stregoni, dai quali i moderni medici, volenti o nolenti, discendono, trasmettevano il loro sapere esclusivamente a coloro che erano destinati a prendere il loro posto in un qualche futuro.
Vorrei tranquillizzare i medici: anche se dovessi carpire il più piccolo dei loro segreti, prometto di non divulgarlo. Lo terrò per me e ne farò il migliore uso possibile, vale a dire nessuno. Quanto ho detto finora è solo per mantenere le mie considerazioni su un piano scherzoso e benevolo. Ma c’è qualcos’altro che temo, il medico non vuole perdere tempo a parlare con uno che, tanto, non capirebbe niente di quello che dice. Capisco, in questo momento, le ragioni dei tanti che preferiscono il fai-da-te piuttosto che consultare un medico, in ogni caso, alla fine, ne saprebbero quanto prima. Ammetto di pensare male, ma in questi casi, oltre a commettere un peccato, si indovina sempre. Vorrei, se possibile, ancora una volta tranquillizzare il medico: capisco l’italiano. Conosco di questa lingua quel tanto che basta a comprendere termini di uso comune come posologia, diagnosi, terapia e prognosi. Il monologo, qualcosa che deve temere più di qualunque altro al mondo, è pertanto scongiurato; potremo conversare amabilmente del mio stato di salute e, soprattutto, ottemperare all’obbligo da parte sua di informare il paziente. Se e quando riuscirà a rompere la ferrea regola del silenzio che si è imposto, potrà rendersi conto perfino del potere terapeutico della parola e di quello quasi taumaturgico di un sorriso e di una stretta di mano.
IL SILENZIO DEI PAZIENTI Leggi tutto »
Un racconto distopico, ma non troppo…
Adesso, l’aria era diventata decisamente poco respirabile, gli ospiti cominciavano a girare, nervosamente e sempre più spesso, la testa verso la cucina, sperando vivamente che Clara riprendesse a friggere. Curioso, e anche un po’ fastidioso, l’odore dell’aria pulita! Talmente fastidioso che qualcuno aveva acceso una sigaretta, sperando che almeno il fumo riuscisse a cancellare quell’odore insopportabile. Giovanni aveva riflettuto a lungo, prima di accettare l’invito di Clara, non aveva avuto il coraggio di chiederle se a casa sua si respirasse bene, gli era sembrata una domanda fin troppo indiscreta. Adesso, però, si stava pentendo di non essersi informato prima, erano già corse strane voci sul conto di Clara, certo, chiacchiere, pettegolezzi, ma con qualche fondamento, a quanto pareva. Chi era stato a casa sua aveva riferito di uno strano odore mai annusato prima e Clara aveva risposto che, purtroppo, da quelle parti c’era a volte questo problema. Inconveniente, così lo aveva chiamato, ma per chi aveva riferito l’episodio, si era trattato di un inconveniente non da poco, stare in quella stanza a respirare un odore strano, quasi un cattivo odore di cui era difficile definire l’origine e la natura. “Cos’è questo strano odore?”, aveva chiesto uno dei più coraggiosi, e dei più cafoni, avrebbe poi commentato Clara. “E’ l’odore dell’aria”, aveva risposto. Lei non aveva potuto nasconderlo in nessun modo, nemmeno friggendo un quintale di patate. Appena smetteva, quell’odore tornava a farsi vivo, senza una ragione precisa, così le toccava subito riprendere a friggere.
Cominciava anche ad essere piuttosto tardi, ma gli invitati non sembravano avere fretta di andarsene. “Come si respira da te – le aveva detto una – non si respira da nessuna parte”. “Nemmeno a casa di Corinna”, aveva aggiunto un’altra, e sì che la casa di Corinna era famosa per la sua aria decisamente respirabile, un misto tra bollitura di cavoli e zuppa di cipolle. Adesso avrebbe avuto bisogno di una pausa per poter almeno annusare anche lei quell’aria, che invece veniva trasportata nel soggiorno, dove gli invitati erano comodamente seduti a tavola a respirare, opportunamente convogliata lì da un dispositivo di ultima generazione, una macchina costosissima che faceva circolare quell’aria fin dove era più necessario. Clara riusciva a superare la stanchezza, aiutata dal pensiero che l’indomani si sarebbe parlato della sua casa e della sua aria in tutta la città, molti dei presenti avrebbero sicuramente decantato quell’odore di fritto e di sughi all’aglio che imperversava solitamente nelle stanze. Così la fatica di continuare a friggere ormai sembrava svanita, superata da quella felicità di immaginarsi già ai vertici del ristretto elenco delle case in cui si respirava bene. Perfino l’Amministrazione Comunale, consapevole di andare incontro ai desideri dei cittadini, aveva bandito un concorso per scegliere la casa “del buon respiro”, così come era scritto nel comunicato fatto circolare tra la cittadinanza intera. E adesso, senza una ragione, senza una spiegazione plausibile, ci si era messa di mezzo l’aria, con quell’odore insopportabile che rischiava di fare naufragare i suoi progetti.
Perché, a dire il vero, Clara aveva in mente un progetto ben preciso, rendere la sua casa accessibile all’intera cittadinanza, ingresso a orari fissi dietro un piccolo compenso, presentata come un luogo in cui i bravi cittadini sarebbero accorsi a frotte a ricrearsi lo spirito e soprattutto a respirare un po’ di quella sana aria dall’odore di fritto che la maggior parte di loro non aveva mai conosciuto. Già si immaginava sulla soglia di casa, occupata a decantare le qualità non comuni di quell’aria che ristagnava in permanenza dentro quelle stanze, mentre i meno abbienti, impossibilitati a friggere costantemente, si trovavano costretti ad acquistare nei negozi di articoli per la casa certe bombolette spray che si limitavano al più a simulare la presenza di quegli odori nelle loro abitazioni. E, nello stesso tempo, Clara avrebbe trovato il modo di commercializzare quelle enormi quantità di patate fritte che si andavano man mano accumulando in cucina e che, fino ad allora, era stata costretta o a servire agli ospiti occasionali, o a regalare ad amici e conoscenti, quando addirittura non le era toccato buttarle via per liberare un po’ di spazio accanto ai fornelli. Aveva fatto bene i suoi conti, tutto quell’afflusso di gente, tutti i giorni, salvo il lunedì – così aveva deciso, il lunedì lo avrebbe dedicato a se stessa – le avrebbe consentito lauti incassi e la possibilità di condurre una vita da benestante. Avrebbe assunto un paio di persone, naturalmente, lei avrebbe smesso di stare davanti ai fornelli perché a una signora rispettabile non si addiceva il continuare con la vita di prima, quella di un’ordinaria casalinga in continua attività davanti ai fornelli. Avrebbe anche chiesto all’Amministrazione Comunale una speciale licenza per aprire un’attività di imbottigliamento dell’aria di quella casa, dapprima a livello artigianale, poi, se la cosa avesse preso piede, su scala industriale. L’Amministrazione, almeno secondo il punto di vista di Clara, sarebbe stata ben lieta di reclamizzare, attraverso la vendita di quel prodotto, la cittadina che governava, con la prospettiva di fare accorrere turisti dalle città dei dintorni e magari dall’intera regione. E poi, chissà, il tempo e quell’odore dell’aria avrebbero finito per lavorare a suo favore.
Aria di casa nostra Leggi tutto »
di Laura Montanari
Erano ormai quattro mesi e più che Mirca raccomandava alle allieve del corso mattutino di yoga, donne mature dai cinquanta in su, di sgusciar fuori dal peso del corpo, di deporre a terra le fatiche del vivere quotidiano, per librarsi leggere verso il cielo, lasciando i freni della mente, innestando l’energia del respiro.
Lievi come piume, eleganti come farfalle, morbide come brezze marine, come… Le immagini erano sempre diverse, secondo la momentanea ispirazione, ma tutte evocavano leggerezza, serena vitalità, volevano sollecitare le allieve a prendere il volo, una buona volta!
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